domenica 28 febbraio 2016

L'Italia che conta, parte 2

Questo post rappresenta il prosieguo di un altro testo dallo stesso nome pubblicato circa un mese fa e disponibile qui. Ricordo nuovamente che il post tratta la storia di alcuni connazionali vissuti in Cina e in particolar modo a Shanghai, segnandone la storia. Il materiale è stato raccolto in una mostra organizzata dal Consolato Generale d’Italia a Shanghai e dall’Ufficio Informazione della Municipalità di Shanghai, a partire da un primo progetto promosso nel 2012 dall’Istituto di Cultura Italiana a Shanghai. Il titolo era “Dialogo di civiltà lungo la via della seta: italiani a Shanghai 1608-2010” e la mostra è stata presentata al China Corporate United Pavillion all’Expo Milano 2015.  


Mario Paci e l’Orchestra Municipale di Shanghai

Mario Paci, nato a Firenze nel 1878, fu pianista e direttore di orchestra, avendo studiato pianoforte al conservatorio di Napoli e in seguito, su suggerimento di Giacomo Puccini, direzione d’orchestra a quello di Milano. Nel 1918 approdò a Shanghai durante un tour mondiale, città in cui rimase a causa di un malessere che lo obbligò a essere ricoverato all’ospedale. 
Alla sua storia è legata quella dell’Orchestra Municipale di Shanghai, fondata nel 1879, una delle più antiche orchestre sinfoniche della Cina e dell’Asia che raggruppava musicisti provenienti da svariate parti del mondo. Dato che durante la prima guerra mondiale era andata scomparendo, nel 1919, il Consiglio Municipale di Shanghai affidò il ruolo di Direttore d’orchestra a Mario Paci che accettò l’incarico e la rinominò Shanghai Municipal Orchestra. Il maestro Paci si adoperò innanzitutto nell’ingaggio di nuovi musicisti, poi nella scelta di nuove partiture da mettere in scena. Nel novembre del 1919, dunque, iniziò la prima stagione sinfonica della nuova orchestra, che durava da ottobre a maggio, con oltre trenta concerti che proseguivano anche all’aperto durante la stagione estiva presso l'attuale Zhongshan Park, un tempo chiamato Jessfield Park. Nel 1926, l'Orchestra cominciò a registrare i primi concerti radiofonici ai quali fecero seguito dopo qualche anno le prime registrazioni discografiche. Sempre a Paci dobbiamo anche l’apertura dei concerti al pubblico cinese il quale inizialmente era escluso da tali performance.
La sua carriera e il suo lavoro continuarono anche durante l’occupazione giapponese (iniziata nel 1931) nonostante l’orchestra cominciò a soffrire di mancanza di fondi, carenza che Paci cercò di colmare attraverso concerti pubblici e privati. Tuttavia, a causa degli avvenimenti storici e del sempre più preponderante controllo giapponese, l’orchestra soffrì di un lento declino finché, nel 1942, il maestro Paci si dimise dal ruolo di Direttore. In quell’occasione fu organizzato un concerto d’addio organizzato presso il Lyceum Theatre tra Maoming road e Changle road la domenica 31 maggio del 1942, con il maestro nel doppio ruolo di direttore e pianista. Dopo la guerra, la posizione di Direttore venne assunta da Arrigo Foà (1900-1981), primo violino per molti anni, che rimase, con vari avvicendamenti e co-direzioni, fino al 1952.

La famiglia Chieri

Nel 1900 Virginio Chieri, all’epoca allievo ufficiale dell’esercito, s’imbarcò su un piroscafo italiano in partenza per la Cina dove avrebbe partecipato, non ufficialmente, all’esercito multi-nazionale che combatteva i boxer in Cina. Finita la missione tornò in Italia ma con la Cina nel cuore, tanto da impegnarsi per trovare infine un impiego nel settore delle Poste e Dogane in Cina. Nel frattempo, a Livorno, conobbe una donna di nome Luisa, che divenne la sua fidanzata nonostante la sua partenza e che, nel 1904 in assoluta solitudine, s’imbarcò per Shanghai decisa a ritrovare il suo fidanzato e accettare la sua proposta di matrimonio. Dopo diverse peripezie lo rintracciò, si sposarono e iniziarono insieme la loro avventura cinese. Inizialmente e per circa 10 anni si spostarono per buona parte della Cina continentale sul fiume Yangzi allo scopo di fondare, implementare e sviluppare la rete postale cinese. Nel 1910 approdarono infine a Shanghai dove rimasero fino alla fine della seconda guerra mondiale. Ebbero quattro figli, Pericle, Laura, Matilde detta “Mats” e Itala detta “Itsie”: nonostante le difficoltà di spostare una così numerosa famiglia per la Cina di inizio novecento, arretrata, con sistemi di trasporto e sanitari pressoché inesistenti, i figli crebbero fortunatamente senza problemi, anzi beneficiando di tutto ciò che Shanghai all’epoca, ma anche ai giorni nostri, può offrire. Crebbero dunque cosmopoliti e internazionali nella Shanghai degli anni Trenta diventando un punto di riferimento per la vita mondana, costellata di ricevimenti sulle navi europee all’ancora a Shanghai, di amicizie con affascinanti ufficiali di marina e con amici cinesi intelligenti, colti e raffinati. I Chieri erano ad esempio intimi col sindaco di Shanghai Wu Techen, con T.V. Song, ovvero il fratello più grande delle famose sorelle Song, ed erano assidui frequentatori delle serate al Cathay Hotel (ora Peace Hotel). Furono spettatori dell’arrivo a Shanghai del trasvolatore Arturo Ferrarin, il personaggio di cui si parla nel paragrafo successivo, del soggiorno di Edda e Galeazzo Ciano. Furono insomma gli inconsapevoli spettatori di una Shanghai che in quegli anni si aggiudicò il nome di “Parigi d’Oriente”, la cui vitalità è forse paragonabile a quella di oggi. Virginio, accanto alla sua attività lavorativa, ricoprì incarichi onorari nell’associazionismo della comunità italiana: fu ad esempio presidente del Circolo Italiano e membro della Lega Navale Italiana.
L’idillio della famiglia si concluse bruscamente con l’8 settembre 1943, quando Virginio Chieri e la moglie furono deportati in un campo di concentramento giapponese a Weisen, nel nord della Cina, insieme ad altri componenti della colonia italiana shanghaiese, dove rimasero per tre anni fino alla liberazione nel 1945. Di ritorno a Shanghai, trovarono la loro casa e i loro beni distrutti dagli occupanti giapponesi e dalla guerra civile che cominciava a imperversare in Cina. Lasciarono quindi la loro amata Cina per tornare in Italia.
La storia di questa famiglia è raccontata in un libro dal titolo “Pechino Bassano del Grappa. Storia di una famiglia italiana in Cina nella prima metà del ventesimo secolo”, curato dalla figlia di Matilde, Marina Giusti del Giardino, che raccoglie tre diari di viaggio e un album di fotografie del loro soggiorno e dei loro viaggi in Cina.

Arturo Ferrarin

Arturo Ferrarin (1895 –1941) fu tenente e pilota di volo acrobatico. Nel 1920 acquistò larga fama mondiale con la prima trasvolata tra l’Europa e l’Asia a bordo di un velivolo S.V.A.9 in legno e tela della Regia Aeronautica. L’impresa, chiamata Raid Roma-Tokyo, è per l’epoca storica, con 112 ore di volo e 18000 km in 31 tappe. Prendeva avvio da un’altra impresa storica compiuta da uno dei personaggi italiani più famosi del secolo scorso, Gabriele D’Annunzio, il quale per la prima volta aveva guidato una missione che, con questi primi aerei biplani si era recato a Vienna compiendo un viaggio di più di 100 km. D’Annunzio rinunciò a questa missione che venne dunque presa in carico da Arturo Ferrarin e una squadra di 22 altri piloti e motoristi che partirono da Roma il 14 febbraio 1920. Ferrarin arrivò in Cina dall’India e dall’Indocina, facendo scalo a Canton, Fuzhou e infine Shanghai il 2 maggio 1920 atterrando all’ippodromo. Restò in città per una settimana, dove fu accolto come “il nuovo Marco Polo” con diversi festeggiamenti e ricevimenti e ripartì infine per Pechino con l’aereo pieno di fiori. Arrivarono a Tokyo il 31 maggio 1920.
Ad Arturo Ferrarin sono dedicati diversi aeroporti tra cui quello di Thiene in provincia di Vicenza, la sua città d’origine, e a mia insaputa anche un aeroporto vicino al mio paese di origine, l’aeroporto di Venegono Inferiore dell’Aermacchi, una nota società aeronautica che fornisce proprio l’aeronautica militare.

Guglielmo Marconi, inventore della radio

Guglielmo Marconi (1874 – 1937), l’inventore della radio premio Nobel nel 1909, proveniente da Nanchino giunse a Shanghai, accompagnato dalla moglie, il 7 dicembre 1933 per restare fino al 12 dello stesso mese. L’entusiasmo in città per l’arrivo del “padre della radio” fu grande, certamente irrobustito dalla stampa cinese. A quel tempo trecentomila shanghaiesi ascoltavano trasmissioni radiofoniche.
A ricevere Marconi alla stazione ferroviaria andarono in tanti, fra cui il rettore dell’Università Jiaotong Li Zhaohuan, che era stata la prima a istituire un corso di radioelettricità. Qualche giorno più tardi, un impianto di emissioni radio fu fondato da Marconi all’Università Jiaotong grazie a dei fondi pubblici. Il giorno della visita all’Università Jiaotong  lo attendevano un migliaio di studenti con in testa il rettore insieme a Cai Yuan Pei, rettore dell’Accademia Sinica delle Scienze. Nel discorso di accoglienza il professor Li Zhaohuan elogiò l’invenzione della radio paragonandola alla scoperta dell’America. Il professor Cai Yuanpei esaltò invece l’utilità della radio nella vita quotidiana, citò le “quattro invenzioni” (la polvere da sparo, la stampa, la bussola, la carta) vanto della Cina e incoraggiò i giovani a studiare con impegno per dare un contributo alla patria.
Marconi fu anche invitato al Palazzo della Scienza ed alla Radio Internazionale Zhenru, radio che doveva diventare la più grande della Cina con impianti interamente prodotti dalla società di Marconi stesso. Il suo viaggio a Shanghai fu un’ottima occasione dunque per pubblicizzare la sua azienda dato che furono molti i giornali a pubblicare la notizia e la risonanza del suo viaggio durò per alcuni mesi.

Svariati altri personaggi italiani viaggiarono in Cina nel secolo scorso. Tra questi possiamo ricordare anche Alberto Moravia, scrittore e giornalista italiano: fu in Cina per la prima volta nel 1937, alla vigilia della Seconda guerra mondiale, e una seconda volta nel 1967, viaggio da cui trasse il libro “La rivoluzione culturale in Cina”, libro che elogiava parecchio la rivoluzione maoista e il suo progetto di ingegneria sociale che mirava a creare un uomo nuovo abbattendo le differenze e creando invece uniformità. Moravia era molto affascinato dalla civiltà cinese che lui definiva “civiltà intatta”, attirato da temi quali la popolazione, la tradizione o meglio il confucianesimo e i monumenti storici.
In Cina arrivarono anche diversi giornalisti italiani nel 1937: Luigi Barzini Jr. del Corriere della Sera e Sandro Sandri de La Stampa di Torino. Entrambi a Nanchino come inviati di guerra durante l’attacco giapponese alla città, Sandri fu ucciso dagli aeroplani nipponici durante l’evacuazione.
Con l’avvento della Repubblica Popolare Cinese, la Cina suscito’ un vivo interesse negli intellettuali italiani. Nel 1956 arrivò una delegazione italiana di scrittori e intellettuali tra i quali figurava anche Curzio Malaparte, scrittore, giornalista e saggista. Venne pubblicata postuma nel 1964 l’opera “Io, in Russia e in Cina”. Malaparte fu grande ammiratore del popolo cinese (“La Cina e' l' unica civilita' che mi affascina”) e lasciò in dono alla Repubblica Popolare di Mao Zedong la proprietà di Villa Malaparte a Capri  perché ospitasse scrittori cinesi.
Nel 1966 venne a Shanghai Goffredo Parise, scrittore, giornalista e saggista italiano, che ci ha lasciato in eredità il libro “Cara Cina”. Nel libro, egli definisce i cinesi ”un popolo che possiede naturalmente quella qualità che si può conquistare, e con grande spreco di energie, soltanto storicamente. Questa qualità è lo stile", parlando di cucina e calligrafia.
Infine, ricordo velocemente anche Oriana Fallaci, scrittrice e giornalista che venne in Cina nel 1980 e soggiornò sia a Pechino che Shanghai. Nel suo soggiorno nella capitale realizzò una famosa intervista con Deng Xiaoping, pubblicata postuma insieme ad altre interviste con i Grandi del Mondo nel libro “Intervista con il  Potere”.



Questo testo è stato utilizzato per registrare la puntata di Cineserie “Storia degli italiani a Shanghai” al link http://www.spreaker.com/user/8356020/0087-cineserie-storia-degli-italiani-a-s o su http://radiomeyooo.com/

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