venerdì 20 maggio 2016

Gli acquisti segreti

Il 24 marzo 2016 il governo cinese ha annunciato che, a partire dall’8 aprile, tutti i beni acquistati all’estero dai privati verrano sottoposti al sistema doganale dei dazi previsto dalla legge cinese. In pratica, per qualunque prodotto acquistato all’estero e portato in Cina, indipendetemente dal fatto che sia destinato ad essere rivenduto oppure acquistato ad uso personale, si dovranno pagare sia l’IVA che i dazi.


La legge è stata implementata per contrastare un mercato nero (o grigio che dir si voglia) di merce che viene acquistata all’estero a prezzo inferiore e rivenduta in Cina illegamente senza che i guadagni vengano tassati. Questo processo è in Cina un’attività talmente diffusa da essersi meritata una serie di nomi specifici: acquistare all’estero per poi portare in Cina si dice “haitao” e colui che permette la messa in pratica di questa attività è chiamato “daigou”.

Cos’è il mercato grigio dell’haitao
L’ “haitao” (海涛, in cinese, dove “hai” significa mare e “tao” grandi onde) è nato principalmente per tre motivi: il primo, è la preoccupazione dei cittadini cinesi di non trovare prodotti sicuri nel proprio paese, specialmente se si tratta di prodotti alimentari, ma anche in termini di contraffazione per i prodotti di lusso; il secondo, sono le alte tasse di importazione su beni di lusso e prodotti alimentari. Qui di seguito una tabella per i prodotti di lusso:


Si stima dunque che in Cina i prezzi di alcuni prodotti possano essere fino al 30, 40 o addirittura 50% più alti che all’estero. Infine, per coloro che seguono gli ultimi trend del momento, l’haitao rappresenta anche un modo per poter accedere agli ultimi design che ancora non sono disponibili sul mercato cinese.

Chi sono i daigou e cosa fanno
La parola daigou (in cinese 代购 o 海外代购 “haiwai daigou”), significa “comprare a favore di qualcuno”: si tratta di un canale commerciale per cui una persona cinese acquista della merce all’estero (principalmente articoli di lusso, ma anche prodotti alimentari) per un cliente situato in Cina.  

La maggior parte degli agenti coinvolti pratica quest’attività part-time: si tratta per la maggior parte di studenti cinesi che si trovano all’estero, ma anche impiegati di compagnie aeree internazionali o semplici persone che fanno spesso trasferte all’estero. Gli agenti comunicano con i loro clienti utilizzando i canali promozionali di Weibo e Wechat. Gli acquisti di chi fa daigou provengono da boutique del lusso nelle principali capitali della moda, come Parigi, Milano, Londra, New York, ma anche Hong Kong, Tokyo e Seoul.

Secondo un sondaggio del 2015 su acquirenti cinesi di prodotti di lusso online, il 35% si è servito di questo servizio del daigou per gli acquisti online, mentre solo il 7% ha utilizzato direttamente il sito del brand. Secondo le statistiche di Bain & Co, azienda di consulenza specializzata nel settore lusso e fashion, la Cina è il paese con il più alto numero di acquisti di beni di lusso, rappresentando il 31% di tutto il mercato mondiale. Sempre secondo Bain & Co, all’inizio del 2014 il valore di questo business era aumentato di 3 miliardi di dollari rispetto all’anno precedente e, nei 12 mesi del 2014, è aumentato, prendendo in riferimento solamente i prodotti di lusso, da 55 a 75 miliardi di rmb, ovvero dagli 8 ai 12 milairdi di dollari.

Fare daigou non è così semplice come può sembrare. Innanzitutto c’è molta competizione. Inoltre si tratta di un’attività molto dispendiosa in termini di tempo, dato che bisgna comunicare con i clienti. Il daigou infatti si trova solitamente in posti diversi dalla Cina e, data la differenza di orario, è costretto a comunicare o la mattina presto o la sera tardi. Infine, si devono portare a casa pacchi pesanti da soli, pregare svariate divinità per non essere beccati, infine impacchettare la merce cercando di fare errori e contattare lo spedizioniere. Insomma, si tratta di un’attività molto lunga e dispendiosa, carica di forti emozioni e di stress.

In ogni caso, la paura principale di molti di questi agenti è riuscire a evitare di essere scoperti alla dogana. Per legge, qualunque tipo di merce a uso personale può essere importata in Cina senza dover pagare tasse se il suo valore non supera i 5000 rmb (670 euro circa). Ovviamente gli agenti di daigou non dichiarano alla dogana il reale valore della merce che stanno portando con sé e, fino a qualche tempo fa, succedeva di rado che venissero scoperti, dati i controlli abbastanza superficiali operati dalla dogana negli aeroporti. Da aprile, invece, i controlli sono diventati molto più severi, direi quasi “a tappeto”, e chi viene scoperto deve pagare le tasse sulla base del dazio previsto dalla legge cinese per il tipo di prodotto che sta portando. 

Attività di contrasto
Tra le strategie messe in atto, la più popolare è sicuramente l’abbassamento dei dazi in entrata per alcune tipologie di prodotto. Tra maggio e dicembre 2015, il Ministero delle Finanze cinese ha abbassato i dazi di importazione su 800 prodotti: le tasse sull’abbigliamento si sono abbassate da una media di 14-23% a una media di 7-10%; le tasse sulle calzature si sono ridotte dal 22-24% al 12%. Questo dovrebbe, secondo la mentalità comune, contribuire alla diminuzione dei prezzi dei prodotti in Cina. Tuttavia, non si tratta di un processo così immediato. Innanzitutto, i dazi rapprensetano solamente una delle tre differenti tassazioni sull’import: l’IVA e la tassa di consumo sono infatti rimaste invariate. Inoltre, i prezzi dei prodotti non sono determinati solo ed esclusivamente dalle tasse, ma anche dal mercato stesso, dai gusti dei consumatori e soprattutto dalla loro “disposizione a spendere”. Siccome i cinesi sono molto disposti, non tutte le aziende di lusso hanno abbassato i prezzi di conseguenza. 

Il governo cinese ha quindi deciso di contrastare la pratica del daigou, non solo perché illecita, ma anche perché per acquisti fatti all’estero la Cina non ha entrate. 

Un’altra strategia riguarda invece le cosiddette zone cross-border: dopo aver permesso ai consumatori di acquistare prodotti attraverso determinati siti stranieri, i prodotti vengono poi convogliati in queste zone di frontiera sottoposte al controllo della dogana cinese dove la merce viene dichiarata e la dogana impone i dazi di importazione più bassi rispetto a quelli normalmente utilizzati. Nel dicembre 2012 il Governo ha lanciato il programma delle zone pilota a Shanghai, Chongqing, Hangzhou, Zhengzhou, Guangzhou, Shenzhen. Compagnie di e-commerce cinesi possono comprare merce dall’estero, tenerla nei magazzini in queste zone per poi vendere i prodotti ai consumatori a prezzi più competitivi. La parola haitao è quindi ora maggiormente riferita a questo tipo di transazioni che avviene in due modi diversi:

- Il consumatore piazza un ordine e l’e-tailer acquista il prodotto all’estero che arriva successivamente  nella zona pilota;
- L’e-tailer prima acquista i prodotti, poi li pubblicizza ai consumatori fanno i loro ordini.

Infine, come già annunciato, si è arrivati all’aumento dei controlli doganali negli aeroporti e per le spedizioni in generale. Alcuni studenti cinesi in Italia che nel loro tempo libero si dedicano a quest’attività, riferiscono ad esempio che, se fino a un anno fa, erano soliti inviare la merce in Cina attraverso dhl o poste italiane dichiarando la merce come “articoli di seconda mano” senza mai avere problemi di dogana, ultimamente invece la situazione è cambiata, è facile essere scoperti, quindi la merce viene solitamente dirottata ad Hong Kong per poi essere trasportata da “aiutanti” verso Guangzhou e da lì distribuita in Cina.

Una collega, invece, si è disperata per ore dopo aver realizzato che la sua borsa, comprata negli Stati Uniti e in viaggio verso la Cina quando la legge è stata implementata, è finita nelle mani dei doganieri che le hanno chiesto di pagare il 30% in più. Dopo aver contestato il colore (era sbagliato), ha rispedito la merce al mittente chiedendo il colore prescelto e facendosi firmare un documento in cui il mittente s’impegna a spedire la merce DDP, ovvero si assume tutti i costi di spedizione incorsi prima dell’arrivo a destinazione della merce. Devo dire che, lavorando in logistica, ha almeno utilizzato la sua conoscenza circa le modalità di pagamento internazionale a suo vantaggio. Vedremo come va a finire.

In generale, comunque, nella prima settimana d’implementazione della legge, agli aeroporti è successo di tutto. Ai turisti di ritorno sono state chieste tasse molto alte rispetto al valore della merce acquistata. Un manager di ritorno da un viaggio di lavoro aveva portato una borsa per la moglie, un giocattolo per il figlio, cioccolatini per i colleghi rimasti in ufficio e infine una bottiglia di whiskey per sé. La merce in tutto è stata stimata a più di 5,000 rmb e gli è stato chiesto di pagare circa 3,000 rmb di tasse, ovvero il 60% di tasse. Altri turisti di ritorno dal Giappone portavano invece tre o quattro valigie piene di prodotti per amici, parenti e conoscenti che valevano in tutto più di 100,000 rmb (più di 13,000 euro): gli è stato chiesto di pagare 50,000 rmb di tasse. Altri ancora, con le stesse modalità, sono stati accusati di contrabbando e sono quindi costretti ad intraprendere un percorso legale.

A seguito di queste esperienze, una quantità cospicua di prodotti inclusi cosmetici, gioielli, orologi, latte in polvere, è stata direttamente abbandonata negli aeroporti, nonostante la dogana parlasse di “controlli di routine”: i soldi spesi sono comunque inferiori rispetto a quelli richiesti con i nuovi controlli. Le foto sono ovviamente diventate un fenomeno virale su internet tanto da occupare i discorsi dei nostri amici dagli occhi a mandorla per giorni interi. Non sono ovviamente mancate le lamentele, la rabbia e il consueto “mei banfa” (non si può fare nulla) finale: pagheranno le tasse o smetteranno di comprare all’estero.

Alcuni hanno comunque espresso perplessità riguardo a questa nuova politica. Ad esempio, Alice Wong, presidente di ImagineX Group, azienda cinese di management e distribuzione per alcuni brand di lusso quali Ferragamo e Marc Jacobs, ritiene tuttavia che maggiori controlli non saranno in grado di abbattere totalmente questo mercato a meno che i prezzi dei beni di lusso in Cina non arrivino ad essere più competitivi di quelli all’estero e la selezione dei prodotti sia ampia tanto quanto quella che si trova all’estero.

Questo post è stato utilizzato per realizzare la puntata "Gli acquisti segreti" su Radio Meyooo, disponibile per l'ascolto su http://www.spreaker.com/user/8356020/0125-cineserie-gli-acquisti-segreti, direttamente sul sito della radio o come Podcast su Ipodcast cercando Radio Meyooo. 

martedì 17 maggio 2016

Ganbei!

Ed eccomi qui con un altro magnifico post su una bevanda tipica della cucina cinese: il baijiu (白酒), ovvero la bevanda alcolica cinese per eccellenza, la bevanda che si utilizza a cena con gli amici, in tutti i tipi di banchetto e ai matrimoni.  


Il nome baijiu letteralmente significa "liquore bianco", "alcol bianco" o "spirito bianco". Si tratta infatti di un liquore distillato esattamente come la nostra grappa: il baijiu viene distillato principalmente dal sorgo, una pianta molto simile al granoturco, che in cima fa un fiore dal colore rosso i cui semi possono essere mangiati bolliti oppure, molto più spesso, vengono utilizzati come mangime per gli animali. Talvolta, tuttavia, sono utilizzati anche altri semi, tra cui il riso glutinoso, principalmente nel sud della Cina, ma anche frumento, orzo, miglio e occasionalmente lacrime di Giobbe nel nord della Cina (lo ammetto: ho dovuto cercare cosa sono le lacrime di Giobbe. A quanto pare, si tratta di una pianta delle specie delle graminacee che produce dei chicchi bianchi lattiginosi che seccati vengono poi bolliti e mangiati; in Corea viene anche utilizzato per produrre distillati oppure, in polvere, per creare una bevanda tipo tè).

Il baijiu si produce quindi dal mosto del sorgo (i semi del sorgo vengono lasciati macerare e pressati con acqua) che viene lasciato fermentare e infine distillato. Sulla base del tipo di liquore che si vuole ottenere, può anche essere invecchiato, diluito e infine fatto riposare prima di essere venduto.
Il baijiu ha una gradazione alcolica che va dal 40% al 60%, uno dei più alti tra i liquori prodotti nell’Asia Orientale come per esempio il sake giapponese o il soju coreano. Il baijiu in ogni caso è trasparente, ha un odore e un gusto molto forti.

Leggenda
La leggenda vuole che il baijiu sia stato inventato per caso da un certo Du Kang il quale avrebbe messo alcuni semi di sorgo bolliti nel buco del tronco di un albero durante l’inverno. In primavera, un aroma straordinario arrivò fino alle narici di Du Kang che seguì l’odore come pollicino segue le briciole e arrivò all’albero realizzando che erano proprio i semi di sorgo a rilasciare quell’aroma. Da li nacque la sua passione per la distillazione del sorgo tanto da essere ricordato anche negli annali storici. Sembrerebbe infatti che i primi produttori di baijiu fossero Du Kang e Yi Di già durante la dinastia Xia (2100-1600 a.C.).

Come viene servito
Tradizionalmente, i cinesi servono il baijiu a temperatura ambiente oppure riscaldato utilizzando una piccola bottiglia di ceramica. Dalla bottiglia, il liquido viene versato in piccoli bicchierini e infine bevuto alla goccia. Per questo motivo, non è raro che il baijiu venga venduto con un set costituito da una bottiglia, un piccolo fornelletto e quattro o sei bicchierini. Il baijiu in ogni caso è una bevanda sociale: non lo si beve da soli, ma mentre si mangia, si festeggia e si brinda in compagnia.

Classificazione del baijiu
I sommelier di baijiu classificano questo spirito sulla base della sua fragranza in sei categorie differenti. 
  • Fragranza “di salsa”, quando il suo sapore è simile alla salsa di soia o alla pasta di fagiolo fermentata.  Si accompagna molto bene con i cibi in conserva e sott’aceto e il liquore più famoso di questa categoria è il “Moutai”;
  • Fragranza forte, quando il suo sapore è molto dolce e la struttura, la trama succosa e oleosa. Tra i liquori famosi di questa gamma ricordiamo il “Wuliangye” del Sichuan;
  • Fragranza leggera, quando il suo sapore è delicato, secco, leggero e pulito. Famoso in questa categoria il “Fenjiu” dello Shanxi, provincia nel nord della Cina e culla della civiltà cinese; 
  • Fragranza di riso, quando il baijiu è distillato dal riso: il sapore è molto pulito e l’aroma leggermente aromatico. Un esempio per questa categoria è il “Sanhuajiu”, letteralmente liquore dei tre fiori, originario della città di Guilin, capitale del Guangxi, provincia a sud della Cina, sul confine con il Vietnam;
  • Fragranza di fenice, quando il baijiu ha un gusto fruttato ed è stato fatto invecchiare in luoghi bui e a bassa umidità in contenitori di vimini per lungo tempo. Un esempio è rappresentato dal “Xifengjiu”, un liquore proveniente dalla zona di Fengxiang nello Shaanxi;
  • Fragranza mista, così chiamata proprio perché questo liquore è ricavato mischiando due diverse varietà di baijiu, il cui risultato è una grande variazione nell’aroma e nel gusto. 


Il Moutai
Il Moutai è ufficialmente il baijiu più famoso perché un tempo era la bevanda preferita dei rivoluzionari cinesi ed è stato ufficialmente riconosciuto come liquore nazionale cinese nel 1951. Zhou Enlai avrebbe addirittura riferito a Nixon che i soldati dell’armata rossa, ovvero l’esercito di Mao, avessero fatto largo uso di Moutai durante la Lunga Marcia per curare feriti e per trovare la forza di andare avanti: parte del successo della spedizione è dunque da attribuire al Moutai.

Il Moutai è originario dell’omonimo paese “Maotai” nella provincia del Guizhou e si ottiene dalla distillazione di sorgo e frumento. Le regole per la sua produzione sono molto precise e seguono un protocollo standardizzato che comprende, fra le altre cose, otto diverse distillazioni nel giro di un mese e invecchiamento in giare di porcellana speciali per circa cinque anni.

Nonostante le credenziali rivoluzionarie, il Moutai è diventato col passare degli anni il liquore più costoso di tutto il paese nonché una vera e propria bevanda di lusso. Mentre nel 2000 una bottiglia poteva costare dai 30 ai 50 dollari, il suo prezzo è salito vertiginosamente fino al 2012, quando una bottiglia da 250 ml poteva essere acquistata sul mercato per 300 dollari.

Nel 2012, purtroppo, il Presidente Xi Jinping ha bandito il baijiu dai banchetti ufficiali. A quanto pare, il problema stava nel fatto che il baijiu, fino a quel momento offerto senza limiti nei ritrovi del PCC, aveva ormai raggiunto livelli elevati di eccesso alquanto malvisti dal resto della popolazione cinese. ll baijiu, visto quindi come il simbolo dei bagordi e della corruzione del partito comunista, è stato bandito e ciò ha provocato un diverso sviluppo economico della bevanda.

La nuova politica ha infatti portato i distributori di Moutai a dover abbassare i prezzi di più della metà per raggiungere un pubblico più vasto e incrementare le vendite. Questo ha tuttavia trasformato questo liquore da bevanda di lusso a prodotto accessibile anche alle masse. Tra le strategie di marketing attuate, la sponsorizzazione di una futura serie TV in 43 puntate la cui trama tratta di un pistolero che abbandona la sua carriera di combattente diventando il primo produttore di baijiu durante la dinastia Qing. Inoltre sempre un paio di anni fa l’azienda produttrice di Moutai ha dichiarato di voler spendere 200 milioni di yuan (32.3 milioni di dollari) per mettere in piedi una divisione per la promozione di altri suoi brand di livello più basso, come per esempio “Prince” e “Banquet”, che costano dai 300 ai 500 yuan (40-70 euro circa) perché il nuovo target per l’azienda sono i consumatori benestanti di età media. La popolarità del Moutai tra le masse sta infatti crescendo, perché il liquore non è più visto solo come una bevanda usata esclusivamente dagli ufficiali di governo, ma anche come un liquore da bere a cena con amici.

Sviluppi moderni
In tempi ancora più recenti, sempre per incrementare le vendite, i produttori hanno cominciato a esportare il baijiu, gettando gli occhi anche sui consumatori occidentali. Questi ultimi tuttavia non apprezzano il baijiu nella versione consumata dai cinesi, al punto che si è cominciato a sviluppare altri modi di consumazione: creando cocktail con baijiu.

Il primo baijiu bar si trova a New York e si chiama Lumos, non solamente un cocktail bar ma un vero e proprio ristorante perché il baijiu va sempre accompagnato con del cibo. Uno dei fondatori di questo bar è un consulente di cocktail dal nome Orson Salicetti: egli ha cercato un modo per nascondere il forte aroma poco tollerato dal palato degli occidentali sperimentando differenti mix per diverse settimane prima dell’apertura del locale dove è al momento possibile assaggiare ben sessanta diversi tipi di baijiu cocktail. Tra questi, propongo la ricetta del “Pyrus Martini”:

2 once di succo di pera Pyrus (una specie di pera che si può trovare in Cina, Taiwan, Giappone e Corea), 1 oncia e mezza di Bombay Sapphire East Gin, 3/4 once di succo di lime, 1/2 once di baijiu, mezza oncia di agave, un quarto di liquore Maraschino, 2 foglie di salvia, 2 goccie di Lumos Spice Elixir (un infuso con pepe della Giamaica, cannella e chiodi di garofano). Provare per credere.


Chissà quando, anche in Italia, andremo a bere baijiu cocktail!

Questo post è stato utilizzato per creare la puntata di Cineserie "Baijiu, la grappa cinese" per Radio Meyooo, disponbile per l'ascolto direttamente sul sito della radio oppure al link: http://www.spreaker.com/user/8356020/0110-cineserie-baijiu-la-grappa-cinese

venerdì 13 maggio 2016

Le "Zitelle" cinesi

Questo post prende spunto da un tema  sempre molto dibattuto in Cina che, con sempre più frequenza, torna alla ribalta sui media cinesi: le “zitelle”, in cinese “shengnv”.


Il termine “shengnv” significa letteralmente donna lasciata da parte, ai margini della società. Il termine sembrerebbe stato coniato dai media cinesi a partire dal 2007, in seguito alla promulgazione nel 2006 di uno studio sullo squilibrio dei sessi in Cina. Secondo svariati studi demografici, il numero di uomini in Cina è molto maggiore del numero di donne: mentre una giusta proporzione dovrebbe essere 105/100, in Cina si registra una proporzione pari a 118/100 (2012): secondo le statistiche, in Cina ci sono 31 milioni di uomini in più rispetto alle donne (Statistical Yearbook 2014).

Il termine ha una connotazione ben definita all’interno della società: si riferisce a tutte le donne che non sono ancora sposate a partire dal 27esimo anno di età in su. L’associazione delle donne cinesi (in inglese, All-China Women’s Federation) è da ritenere in gran parte responsabile della diffusione e della stigmatizzazione di questo termine che è infatti entrato a far parte del lessico del dizionario.

Sul sito dell’associazione, disponibile anche in lingua inglese, il primo articolo che presenta il termine “shengnv” risale all’aprile 2007 e parla di come le zitelle cinesi presentino caratteristiche ben precise: si tratta di donne completamente indipendenti, con un alto livello di educazione e buone posizioni lavorative.

Da quel momento in poi, più di quindici articoli su questa questione sono stati pubblicati. A quanto pare, l’urgenza del tema è dovuta al fatto che lo squilibrio dei sessi preoccupa il partito dato che un eccessivo numero di uomini non sposati potrebbe causare problemi sociali. Inoltre, il partito è anche preoccupato della qualità della popolazione: per continuare a crescere, essere competitiva e diventare una potenza forte a livello internazionale, la Cina ha bisogno di persone intelligenti e non può permettersi che i migliori nella società non si riproducano.

A proposito della “qualità” della popolazione, è necessario citare uno studio condotto da Yue Qian sull’”ipergamia” (hypergamy in inglese, non esiste una vera e propria traduzione), ovvero la tendenza a sposare qualcuno di strato sociale superiore al proprio o più erudito di sé stessi. In Cina c’è la tendenza per le donne di sposare uomini che abbiano una migliore educazione rispetto alla propria e, di conseguenza, c’è una tendenza negli uomini a sposare donne meno istruite di loro. Lo studio suddivide le persone in quattro categorie: A, il più istruito, e D, il meno istruito. Secondo questa tendenza, gli uomini A scelgono donne B, gli uomini B scelgono donne C e gli uomini C scelgono donne D. Rimangono fuori da questo processo le donne A, ovvero quello più istruite, e gli uomini D, meno istruiti e generalmente con minori possibilità economiche. Le prime non trovano nessuno alla loro altezza e gli ultimi sono troppo malmessi per trovare qualcuno disponibile a sposarli.

Secondo Leta Hong-Fincher, una sociologa Americana che sta studia il fenomeno delle zitelle cinesi, il partito vuole proprio che siano queste donne a sposarsi perché tralasciate dai processi sociali di cui parla lo studio, ma anche le “migliori” dal punto di vista della qualità. Il partito, preoccupato della stabilità e della crescita economica del paese dopo la pubblicazione dello studio sullo squilibrio dei sessi nel 2006, ha quindi messo in moto questa macchina di pressione sociale. E’ stato dunque necessario coinvolgere l’associazione delle donne cinesi per contribuire all’attività propagandistica che urge le donne A a sposarsi. L’attività è stata portata avanti con tale fervore da sviluppare un vero e proprio fenomeno sociale di portata mastodontica tanto da creare un intero universo di significato attorno al termine “shengnv”.

Gli articoli trattano degli argomenti più disparati: dalle riflessioni sul tema, all’organizzazione di eventi di speed-date, fino ad articoli (orribili) in cui si consiglia alle ragazze come farsi notare o anche le migliori mosse per far cadere un ragazzo nelle proprie braccia.

Tra le citazioni migliori figura sicuramente la seguente:
“Le ragazze belle non hanno bisogno di un alto livello di educazione per sposare un uomo ricco, facoltoso e potente. Sono le ragazze nella media e quelle brutte ad avere difficoltà (nel trovare un partner). Per aumentare la loro competitività queste ragazze decidono di puntare sull’educazione (l’intelligenza). Ma la tragedia è che non si accorgono che, in termini di età, valgono sempre meno. Quindi, nel mentre in cui ottengono la loro specializzazione o il loro dottorato, sono vecchie come le perle ingiallite”. 

Il fenomeno aumentato in parallelo è quello della “svendita” dei figli al cosiddetto mercato dei matrimoni. Esistono infatti dei luoghi in cui una persona può mettere il proprio “CV” di vita o quello di qualcun altro per trovare un partner interessato. Cosa succede nella pratica? Scrivi il tuo cv (o qualcun altro lo scrive per te) completo di nome, cognome, residenza e hukou, nazionalità, foto, carattere, interessi e hobby, ma soprattutto stipendio e possedimenti (casa, macchina, ecc.) e lo esponi, lo appendi in un luogo dove si combinano incontri. Questi luoghi sono solitamente dei parchi (qui a Shanghai è famosissimo il Parco del Popolo) ma il problema è che sono frequentati dai genitori dei ragazzi in cerca di un compagno/a non dai ragazzi stessi. I cinesi dicono sia perché i ragazzi non hanno tempo lavorando troppo, ma la realtà è chiaramente che sono i genitori a fare pressioni verso il matrimonio e soprattutto a dire l’ultima parola sul prescelto/a.

Non sono mancati nemmeno gli spettacoli d’intrattenimento per risolvere questo problema. Tra i più famosi in televisione figura sicuramente “Feicheng wurao” (You are the one in inglese). Si tratta di un programma sullo stile di “Uomini e donne” trasmesso ogni sabato sera alle 21.10. Secondo la versione ufficiale, il programma ha lo scopo di offrire un servizio “alla vita”: 24 ragazze single vengono presentate all’uomo di turno che, sulla base di ciò che cerca in una donna, le esclude piano piano. In realtà, sulla base di alcune domande pre-impostate a cui le ragazze hanno risposto, le ragazze vengono auto-eliminate in base alla caratteristiche della donna cercata dall’uomo di turno. L’ultima che rimane è la prescelta per creare una vita insieme. L’unica volta che mi è capitato di vedere questo programma (la mia professoressa di cinese me lo aveva consigliato per “imparare il cinese”) sono rimasta basita: al termine della sessione, il ragazzo e la ragazza venivano intervistati e entrambi affermavano cose tipo “sicuramente avremo una magnifica vita insieme”, “a presto decideremo quando sposarsi”, “lui/lei è esattamente ciò che cerco”. Il tutto senza essersi nemmeno mai parlati. Complimenti!

Fortunatamente c’è anche chi la pensa in maniera diversa. L’8 aprile 2016 è uscito un video che ha riportato la questione nuovamente alla ribalta. Il video è intitolato “la conquista del mercato del matrimonio” (Marriage Market Takeover in inglese) ed è stato voluto e sponsorizzato dall’azienda cosmetica giapponese SK-II.

Il video parla della storia di queste ragazze, tutte single e tutte non sposate sopra i 27 anni. Vengono immortalate mentre i loro genitori parlano del fatto che il problema per cui la loro figlia non trova marito è che è troppo brutta, del fatto che non sposandosi sta mancando loro di rispetto. Le ragazze, stanche e infastidite, decidono dunque di esprimere la loro opinione una volta per tutte e pubblicamente. L’azienda di cosmetica ha offerto loro la possibilità di essere le protagoniste di un album fotografico le cui foto, devo dire bellissime, sono state poi esposte in pompa magna proprio al Parco del Popolo. Le foto naturalmente non erano l’unica attrattiva, ma erano accompagnate da didascalie che spiegavano i motivi per cui queste ragazze non vogliono sposarsi. Mi ha colpito molto una scritta che dice: sposarsi non da la felicità. Il video ovviamente finisce coi genitori di queste ragazze che dicono alla telecamera che le loro figlie sono belle, in gamba, intelligenti e, anche se non sono sposate, vogliono loro tanto bene comunque. Un primo passo verso l’accettazione sociale di queste ragazze, che poi era anche il motivo per cui l’azienda di cosmetici ha deciso di realizzare questo video: sensibilizzare la società sul fatto che essere single non deve rappresentare un problema. Il presidente di SK-II ha detto infatti che il video fa parte di una campagna volta ad ispirare e permettere alle donne di determinare il loro destino.

Il video è stato visualizzato più di 20000 volte solo attraverso l’account Weibo dell’azienda stessa e ha ricevuto più di 4000 like. Tra i commenti più interessanti troviamo “le scelte di ogni donna dovrebbero essere rispettata in una società civilizzata”; “si può essere felici anche senza un uomo e non dovremmo essere punite per le nostre scelte fintanto che non fanno del male a nessuno”; “non perdete la speranza e seguite il vostro cuore, non i vostri genitori, perché solo voi sapete cosa è giusto per voi stesse”. In generale, il video è stato ben accolto proprio perché ha permesso la condivisione di questi sentimenti tra le ragazze che ora non si sentono più sole, ma parte di un gruppo dove ci si sostiene a vicenda.


Questo post è stato utilizzato per creare la puntata “Le Zitelle” per Radio Meyooo, disponibile per l’ascolto direttamente sul sito della radio. 

venerdì 6 maggio 2016

Sono un vero uomo!

Il weekend del primo maggio, non avendo nulla di meglio da fare per la festa dei lavoratori, ho pensato di andare a fare un altro giro sulla grande muraglia, ma non dove vanno tutti, a Badaling o Mutianyu, bensì dove la muraglia “finisce”, ovvero si getta nel mare. Ho pensato così di dedicare un post alla muraglia cinese: una delle otto meraviglie del mondo, l’icona penso più conosciuta della Cina.


La muraglia cinese, chiamata in cinese “changcheng” o “wanli changcheng” (letteralmente lungo muro oppure muro lungo 10000 li, dove li è un’unità di misura pari a circa 500 metri), è una struttura composta da una serie di mura erette in Cina a partire dai primi secoli a.C.  L’imperatore che unificò la Cina, Qin Shi Huang, ordinò infatti la costruzione di un vero e proprio sistema di difesa e controllo tra il 220 e il 206 a.c. per tre differenti motivi: protezione e difesa della neonata Cina dalle popolazione barbare del nord; imposizione dei dazi sulle merci che transitavano verso la Cina lungo la via della seta; controllo di immigrazione ed emigrazione.

La grande muraglia vide quindi la luce come un insieme di cinta murarie, bastioni e fortezze costruite principalmente di mattoni, pietre, terra battuta, legno e altri materiali di recupero e venne costruita quasi senza sosta fino al crollo della dinastia Ming (1644). Al trono seguirono infatti i Qing, di origine mongola, proprio quelle popolazioni che le altre dinastie avevano cercato di ostacolare con la muraglia. Arrivata al trono, questa dinastia decise di interrompere la costruzione e la muraglia cadde in disuso.

Quando si parla della grande muraglia, ci riferisce solitamente agli 8,850 km di muro che vanno dal lago Lop nello Xinjiang fino a Dandong, ultima città di frontiera prima della Corea del Nord. Secondo altri studi archeologici che tengono in considerazione ogni singolo pezzo di mura, sembrerebbe invece che la muraglia misurare in totale 21,196 km. Non bisogna infatti pensare alla muraglia come un singolo muro continuativo, bensì come una serie di mura poste in punti strategici particolarmente pericolosi intervallate anche da impedimenti naturali come fiumi, laghi e montagne impenetrabili.

I primi resoconti storici che parlano della grande muraglia risalgono al 483 d.c ed appartengono al più grande storico cinese dell'antichità che è Sima Qian. Purtroppo si tratta di resoconti che parlano solamente in modo marginale della muraglia e non della sua costruzione. Mancano invece tutti i dettagli sul progetto, sui materiali, sulla logistica e sulla manodopera.

Per questo tuttavia ci vengono in aiuto le leggende. Si narra infatti che centinaia di migliaia di persone siano morte durante la costruzione della muraglia, soprattutto durante il regno di Qin Shi Huang. Tra i prescelti alla costruzione figuravano soldati, ribelli e semplici contadini.

Una delle leggende più note che riguardano la grande muraglia è quella di Meng Jiangnü. Si narra che questa ragazza abbia salvato la vita di Fan Xiliang, uno dei lavoratori forzati alla grande muraglia, di cui si sarebbe poi innamorata e con cui si sarebbe sposata. Tuttavia Fan fu ritrovato e ripreso in ostaggio per la costruzione. Dopo aver aspettato per tutta l’estate e l’autunno, venne l'inverno e Fan non era ancora tornato. Decise dunque di preparare alcuni vestiti invernali per il marito e portarli direttamente al cantiere dove lavorava. Quando arrivò e non lo trovò, decise di chiedere informazioni e apprese che Fan era morto e che i resti del suo corpo erano stati utilizzati per costruire la muraglia stessa. La ragazza si mise dunque a piangere la perdita dell'amato sulla muraglia per interi giorni e notti finché questa, commossa e toccata dalle lacrime, non si sgretolò e rivelò il corpo di Fan che ella poté prendere con sé. C'è anche un tempio dedicato a Meng Jiangnü proprio nei pressi della parte di muraglia che sono andata a visitare.

Considerando tuttavia la mancanza di fonti storiche, anche il percorso della grande muraglia è tuttora incerto: il tempo e le intemperie hanno eroso parte della cinta ed è perciò difficile tracciare precisamente la sua strada.

Come detto in precedenza, il muro costruito nei primi secoli a.C. si estendeva appunto da lago Lop a Dandong. Tuttavia, la muraglia da noi oggi visibile è per la maggior parte quella costruita dalla dinastia Ming (1368–1644). A quel tempo, il punto più occidentale della muraglia era il passo Jiayu nel Gansu, posto più a est rispetto al lago Lop. La muraglia del passo Jiayu è tuttora visitabile e da lì prosegue nel Ningxia e, arrivata in una città chiamata Xinzhou, nello Shanxi, si divide: una parte prosegue lungo il confine meridionale dell'attuale Mongolia interna, mentre un'altra parte prosegue sulle montagne in direzione sud-ovest per poi ricongiungersi con l'altro pezzo a Sihaihe, nella periferia di Pechino. Da qui la muraglia corre a nord intorno a Pechino, dove si trovano le più famose località per visitarla: Badaling, Mutianyu, Simatai e Jinshanling. Verso est la muraglia si suddivide ancora in due parti: quella che ho visitato io, la fine tradizionale nel mare attraverso la porta Shanhai, ovvero quella che i cinesi chiamano “la prima porta sotto il cielo” e la suggestiva immagine della muraglia che entra nel mare, chiamata dai cinesi “testa del vecchio drago”; il pezzo che prosegue nella piana chiamata Liaodong nella provincia del Liaoning che termina in una località chiamata Hushan, nei pressi della cittadina di Dandong.    

La porta Shanhai si trova in una cittadina chiamata Qinhuangdao, che si trova a poco più di 300 km da Pechino nell’Hebei, la provincia che circonda la provincia pechinese. La porta è in pratica una fortezza di forma quadrata con torri/bastione ad ogni lato e uno al centro: questa è la torre che i cinesi chiamano appunto “la prima porta sotto il cielo”, come riporta anche l’iscrizione sulla stessa. Il cielo, per i cinesi, è una sorta di divinità ultraterrena: tutto ciò che sta sotto il cielo è la Cina. Dire che la porta Shanhai è la prima sotto il cielo significa ammettere che quella è la porta in cui dal cielo si entra sulla terra, ovvero si entra in Cina. La simbologia di questa porta diventa quindi importante nell’immaginario cinese: questa è la porta più importante per difendere i propri confini, è il primo passo per entrare nel territorio civilizzato cinese. La porta fu voluta e costruita dai Ming, di etnia han, e proprio da questa porta entrarono i mancesi, la popolazione di origine mongola che li scalzò dal trono. I barbari mongoli entrarono dunque dalla porta Shanhai e marciarono fino a Pechino conquistandola e dando vita alla dinastia Qing, l’ultima dinastia cinese. 


Il sito di per sé non ha una grande valenza architettonica: era stato quasi interamente distrutto durante la rivoluzione culturale e ora è stato tutto rimesso a nuovo: porta, templi, torre della campana e del tamburo. A dimostrare che non tutto è nuovo e sgargiante, vi sono alcune vecchie case ormai fatiscenti abbandonate.


La muraglia cinese è così importante da aver ispirato anche innumerevoli poesie, inni e proverbi. Tra questi meritano sicuramente una postilla la citazione sulla muraglia più conosciuta non solo dai cinesi stessi ma anche da tutti i sinologhi: 不到长城非好汉, ovvero “se non hai scalato la grande muraglia non sei un vero uomo”. Si tratta di una frase di una poesia scritta da Mao Zedong in persona: il significato è se non sai affrontare con successo le difficoltà (scalare la muraglia è difficile), non sei un vero uomo. Essendoci stata già tre volte, sono ufficialmente un vero uomo.

La seconda menzione è sicuramente l’inno cinese. L’inno cinese recita: “Alzatevi! Il popolo non vuole essere schiavo, usiamo il nostro sangue e la nostra carne per costruire la nuova muraglia!”. L’inno cinese, scritto alla fine degli anni venti, si rivolgeva a una Cina allo sfacelo, invasa dai giapponesi, in preda a diverse guerre intestine. In questo contesto, costruire la nuova muraglia è ovviamente una metafora che designa come il popolo cinese doveva lavorare unito per ottenere la libertà e ricostruire il paese facendolo tornare grande, esattamente come la muraglia è una grande opera.

A 4 km di distanza verso il mare si trova invece la suggestiva scena della muraglia che entra nel mare a “laolongtou”, ovvero la testa del vecchio drago. La muraglia si snoda dalla porta Shanhai in un susseguirsi di mura e torrette finché l’ultimo pezzo di muro entra nel mare giallo del golfo di Bohai.



Beidaihe

A una trentina di km di distanza, invece, sorge una delle più belle località marittime cinesi che io abbia mai visto: Beidaihe, una vecchia città di villeggiatura per gli stranieri che abitavano a Pechino e Tianjin all’inizio del secolo scorso. La lunga spiaggia sabbiosa scorre per chilometri lungo la costa, interrotta ogni tanto da alcuni scogli. Lì cinesi di tutte le età campeggiano con tanto di tende, giocano a beach volley, mangiano pesce fresco grigliato, si godono il sole riposando mentre i più intrepidi si avventurano nell’acqua ancora fredda del mare giallo. 


Il lungomare è largo e ben tenuto, affollato di tantissimi turisti cinesi che camminano, pedalano sulle biciclette a noleggio o pattinano sui roller blade. Diciamo che la calca di cinesi spiega le mie 5 ore di macchina da Pechino a Beidaihe…in coda su un’autostrada infinitamente trafficata. Tuttavia la cittadina è un’ottima variante alla frenesia delle metropoli cinesi: l’acqua del mare è balneabile, a differenza del resto del paese, il lungomare si presta piacevolmente a una tranquilla passeggiata o corsa sotto il primo sole primaverile e il resto della cittadina è tutto da scoprire. 


Una serie di vie si inerpica sulla pineta che copre le colline e può svelare innumerevoli ville di inizio secolo, un tempo appartenute alle famiglie straniere che qui villeggiavano durante l’estate. Le ville sono ora state ricostruite o ristrutturate e ora funzionano come hotel di livello mediocre: decorazioni semplici e basiche, servizio cinese alquanto scadente. Diciamo che si tratta di un’ottima località balneare se non siete troppo esigenti. Anche il cibo è di basso livello: il pesce la fa ovviamente da padrone, ma bisogna tenere presente che ai cinesi piacciono soprattutto molluschi e crostacei. Quindi dimenticatevi merluzzi, branzini e spigole e abituatevi invece a sgranocchiare conchiglie, gamberi e gamberetti, cetrioli di mare e ciò che i cinesi chiamano “intestino di mare”, una sorta di verme rosa davvero simile a un budello che io mi sono rifiutata di provare e di cui non conosco  e non voglio conoscere le modalità di preparazione.