sabato 23 gennaio 2016

L'Italia che conta, parte 1

La scorsa settimana mi sono ritrovata ad una cena con italiani a Shanghai in cui si è arrivati, quasi immancabilmente, al solito discorso: quando gli italiani fanno business, che sia prima o dopo la firma di un contratto, la partecipazione di una o più prostitute sembra immancabile. Tralasciando qualunque discorso di tipo morale che non ho voglia di intraprendere perché questo post è fortunatamente dedicato ad altro, sono stata molto contenta di sviluppare invece il tema di cui mi accingo a raccontare.

Vorrei tuttavia fare una premessa dovuta. Questo post nasce dal lavoro della redazione di “Cineserie”, la mia rubrica sulla Cina in onda ogni sabato su Radio Meyooo: un gruppo di italiane (segnalo: DONNE) ha deciso a titolo assolutamente gratuito di aiutarmi nella stesura dei testi e nel reperimento del materiale per la creazione della rubrica. Non solamente sono io estremamente grata a queste persone per il loro lavoro, ma voglio prenderle ad esempio per dimostrare ai connazionali a cena con me che si possono fare dei progetti, si possono portare avanti delle idee e trovare il modo di renderle realtà in maniera assolutamente pragmatica anche senza ricorrere a uno dei mestieri più antichi del mondo. Dovreste forse leggere questo post, meditare e chissà che possiate imparare qualcosa.   

Tornando al tema principale, invece, il 10 giugno scorso è stata inaugurata all’interno del Padiglione China Corporate United Pavilion all’Expo Milano 2015 una mostra intitolata “Dialogo di civiltà lungo la via della seta: italiani a Shanghai 1608-2010” che racconta la storia di svariati personaggi italiani che hanno contribuito allo sviluppo della Cina e in particolare hanno avuto un legame molto stretto con la città di Shanghai, dove vivo attualmente. Le storie di questi connazionali sono storie di successo, intraprendenza, passione e strategia: si tratta di persone istruite, arrivate in Cina in periodi in cui poco si sapeva di questo paese, in cui Internet non esisteva. Hanno con mente aperta studiato questo paese, la sua storia e le sue tradizioni e hanno deciso di mettere a disposizione la loro professionalità per creare qualcosa che potesse favorire lo sviluppo di Shanghai e della Cina in generale. Come detto in precedenza: chissà mai che gli italiani di cui sopra possano imparare qualcosa.
La mostra nasce dalla collaborazione del Consolato Generale d’Italia a Shanghai e l’Ufficio Informazione della Municipalità di Shanghai. Si tratta della continuazione e completamento di un primo progetto promosso nel 2012 dall’Istituto di Cultura Italiana a Shanghai che portò alla creazione e alla pubblicazione di una mappa in grado di mettere in evidenza la presenza degli Italiani a Shanghai: la città, suddivisa in concessioni, riporta appunto tutti i luoghi significativi in cui vissero e lavorarono questi connazionali.

                                                    Tomba di Matteo Ricci a Pechino

Ma chi sono questi Italiani?

La prima presenza italiana a Shanghai risale al 1600, al tempo della visita in Cina di Matteo Ricci durante la dinastia Ming. Shanghai all’epoca era ancora un semplice villaggio di pescatori, tuttavia proprio da questa città proveniva uno dei maggiori interlocutori di Matteo Ricci: Xu Guangqi.  Nato nel 1562 e originario di una famiglia benestante di Shanghai, Xu Guangqi ricoprì la carica di Segretario del Ministero dei Riti a Pechino. Egli viene ricordato come importante scienziato, astronomo e matematico al quale vennero conferiti i titoli di “pioniere della scienza cinese moderna” e “primo esperto degli scambi culturali tra Cina e Occidente”. Grazie all’assidua frequentazione con Matteo Ricci e altri studiosi italiani, Xu Guangqi imparò la lingua latina, traducendo in cinese importanti testi scientifici.

Tra il 1606 e il 1607, Xu Guangqi e Matteo Ricci tradussero e pubblicarono i primi sei libri degli Elementi di Euclide. Si tratta della prima opera occidentale di argomento matematico tradotta in cinese, la pubblicazione con cui vennero introdotti in Cina i sistemi teorici fondamentali delle scienze occidentali moderne, ponendo le basi del loro sviluppo locale. Gli stessi caratteri cinesi scelti da Xu Guangqi per tradurre la parola geometria, in cinese "jihe", sono quelli utilizzati ancora oggi.
Un’altra importante creazione per cui Xu Guangqi è ricordato ancora oggi è il calendario lunare cinese. Influenzato dalla scienza occidentale nei suoi studi, si rese conto che il calendario cinese basato sulla registrazione delle fasi lunari aveva accumulato notevoli errori nel corso dei secoli e propose all’imperatore una revisione. Nel 1629, all’età di settant’anni, venne incaricato dell’elaborazione del nuovo calendario che, influenzato sia dalle scienze occidentali sia dalla tradizione cinese, rappresenta una significativa sintesi culturale tra Cina ed Occidente. Purtroppo egli non riuscì a vederne la finale pubblicazione dato che morì prima. In realtà, la pubblicazione dell’attuale calendario lunare cinese avvenne in epoca Qing: al momento della presentazione della versione finale per opera dei seguaci di Xu Guangqi, la dinastia Ming crollò e lo studio venne ripreso e infine pubblicato durante la dinastia successiva.
Nel 1611, invece, Xu Guangqi insieme ad un altro italiano di nome Sabatino De Ursis, tradusse un’opera sui meccanismi idraulici che fu pubblicata sotto il nome di “Macchine idrauliche d’Occidente”. Viene infine ricordato per la compilazione di un’enciclopedia delle scienze agrarie, il cui scopo era quello di combattere le carestie e migliorare la vita della popolazione contadina.
Non solamente le sue opere, ma anche la figura stessa di Xu Guangqi rappresenta un magnifico esempio di sintesi di Cina e Occidente: pur utilizzando le scienze e la conoscenza occidentale moderna, egli è stato in grado di applicarla al differente contesto cinese con grande successo. Proprio per questo suo contributo, è considerato da molti studiosi il primo ”italiano di Shanghai”, a dimostrazione del grande rispetto, della gratitudine e dell’ammirazione che questo studioso enciclopedico ha suscitato.  E’ inoltre considerato il maestro e il padre delle relazioni tra l'Italia e Shanghai, città in cui, per onorare la sua memoria, vi è un parco chiamato appunto Parco di Xu Guangqi che raccoglie la sua tomba e una sua statua, accompagnata da quella di Matteo Ricci.

L’aneddoto più interessante di questa storia, comunque, è che nel 2007, anno del 400o anniversario della pubblicazione in cinese degli Elementi di Euclide, l’Istituto Italiano di Cultura assieme all’Ufficio Culturale del distretto di Xuhui a Shanghai, l’Università Fudan e l’Università Jiatong, decisero di celebrare l’evento con una cerimonia molto peculiare. Fecero in modo di fare incontrare i discendenti di Xu Guangqi, Matteo Ricci e Sabatino de Ursis a Shanghai, ovvero Xu Chengxi, discendente da 13 generazioni di Xu Guangqi, Luigi Ricci, discendente della famiglia Ricci e Paolo Sabbatini, affine di Sabatino de Ursis, allora Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura a Shanghai. I tre uomini parteciparono al seminario internazionale organizzato per la commemorazione e, a sottolineare come la storia continui nella vita delle persone, il loro incontro fu l’inizio di una serie da cui si ricavò un libro intitolato “Un libro a sei Mani - Storie incrociate di Matteo Ricci, Xu Guangqi e Sabatino de Ursis nelle parole di discendenti ed epigoni”.

Tornando invece agli altri italiani a Shanghai, si ricorda che proprio grazie proprio al supporto di Xu Guangqi, nel 1608 giunse a Shanghai il primo vero italiano, Lazzaro Cattaneo, un altro gesuita esattamente come Matteo Ricci, che abitò a Shanghai sino al 1610 nell'odierno quartiere di Xujiahui, per poi trasferirsi ad Hangzhou dove morì nel 1640. Egli aiutò Xu Guangqi nella compilazione di un dizionario della lingua cinese che, per la prima volta nella storia, annotò anche i toni. Tale lavoro nel campo della traslitterazione dei suoni cinesi e della compilazione dei dizionari può essere degnamente considerato precursore del moderno Pinyin, ovvero il sistema che associa ai suoni cinesi delle lettere alfabetiche e ha permesso non solo l’inizio dello studio linguistico vero e proprio della lingua cinese, ma anche l’utilizzo di tutti i moderni sistemi di comunicazione come computer e telefoni cellulari.

Gli italiani nella “Vecchia Shanghai” degli anni ’20 e ‘30

Americo Enrico Lauro

Pioniere dell’industria cinematografica a Shanghai, Americo Enrico Lauro nacque a Napoli nel 1879 e intorno al 1900 arrivò a Shanghai dove iniziò la sua attività nell’industria cinematografica. Già a partire dal 1905, si impegnò a proiettare nelle case da tè di Shanghai, che all’epoca rappresentavano dei punti di ritrovo per stranieri e cinesi, alcuni cortometraggi con scene riprese per le vie di Shanghai, allo scopo di avvicinare i cinesi al cinema, invenzione a loro sconosciuta all’epoca, e alla recitazione. Nel 1914 riuscì a collaborare con un gruppo di artisti cinesi di teatro drammatico e girò un film con una trama sugli effetti negativi dell’uso dell’oppio, il cui titolo in inglese è “The Course of Opium”. Si racconta che egli incontrasse molte difficoltà nel filmare, tra cui il fatto che gli artisti cinesi guardavano sempre l’obiettivo (non avendo ricevuto una formazione in recitazione) e il fatto che all’epoca non c’erano attrici di teatro e quindi Lauro si vide costretto ad usare attori maschi anche per i ruoli femminili.

Lauro contribuì ai lavori per trasformare il Gran Teatro di Shanghai, all’epoca chiamato in inglese “Teatro di Iside” in un cinema. Si trattava di un teatro che sorgeva nella zona di Hongkou, tra Qiujiang road e North Sichuan road. Grazie al lavoro di Lauro e dei suoi collaboratori cinesi da lui influenzati, questo teatro di rappresentazioni tradizionali cinesi fu trasformato in cinema ufficialmente nel maggio del 1917. Si racconta, tra l’altro, che proprio qui Lu Xun vide l’ultimo film della sua vita.

Infine, Lauro fondò una sua casa cinematografica a Shanghai, chiamata "VLO Film Corporation (in inglese Lauro Film), azienda che vedeva la sua sede nel Palazzo Guanglu tra Renji road (ora Chi road) e North Sichuan Road di cui si racconta siano state girate diverse opere tra cui “Costumi e abitudini della Cina”, che vinse un premio all’Esposizione di Roma, “La dolce vita nel quartiere delle Legazioni” e “Il primo tram a Shanghai”, opere purtroppo andate perdute. Lauro infatti rimase vedovo e senza figli e morì a Shanghai nel 1937: di lui rimane soltanto una lapide con il suo nome inciso nel cimitero per stranieri un tempo ubicato nel parco di Jing’an Temple e ora ubicato invece nel Mausoleo di Soong Qingling.


Le storie non finiscono qui: ce ne sono molte altre, altrettanto interessanti e significative, ma saranno il tema di un altro post. Nel frattempo, godetevi la puntata di Cineserie “Storia degli italiani a Shanghai” al link http://www.spreaker.com/user/8356020/0077-cineserie-storia-degli-italiania-sh o su http://radiomeyooo.com/

venerdì 15 gennaio 2016

Tutti lo sentono ma nessuno lo conosce: il chou doufu

Il pezzo su Lu Xun della settimana scorsa mi ha dato lo spunto per il tema di un altro post. Shaoxing, la città natale di Lu Xun, è famosa per il chou tofu, il tofu pozzolente letteralmente tradotto: ho raccolto dunque un di aneddoti e fatti su questa nauseabonda prelibatezza.


Il tofu è sostanzialmente il formaggio di soia: i semi di soia, chiamati anche fave di soia, vengono messi in ammollo, frantumati, bolliti e infine filtrati a formare un succo chiamato appunto latte di soia. Questo succo, proprio come il latte bovino o caprino, è in grado di cagliare, ovvero coagularsi tramite l’azione di enzimi che sono in grado di separare le proteine presenti nel latte per farle ricompattare (coagulare appunto) in altre forme proteiche. Da questa nuova coagulazione, il caglio della soia viene poi raccolto e pressato in blocchi a formare il tofu, che alla vista ha un aspetto bianco, morbido, molto simile ai nostri formaggi freschi ma più gelatinoso.
La soia è un legume che veniva coltivato solamente nell’Asia orientale, in particolare Cina e Giappone, e arrivato in Occidente solo nell’ottocento. Il termine tofu, invece, deriva dal giapponese benché siano stati i cinesi a importare tale alimento in Giappone. Da Cina e Giappone si è poi diffuso in tutta l’Asia diventando un alimento basilare nelle diete di tutto il continente.

Ci sono due categorie principali di tofu: quello fresco, prodotto dal latte di soia, e quello conservato, “stagionato”, prodotto dal tofu fresco. Il tofu fresco è quello che contiene la maggior quantità di liquidi e nella sua varietà più morbida, chiamata nen (tenero, soffice) doufu, ha la consistenza di un budino. Poi c’è il hua (morbido) doufu, che è il tofu a cubetti che viene solitamente usato per cucinare varie pietanze. Il tofu conservato è invece disponibile in sostanzialmente due varietà: una sott’aceto, in cui i cubetti di tofu vengono lasciati asciugare all’aria aperta coperti dal fieno, in modo tale che i batteri dell’aria agiscano sul tofu per essicarlo meglio. Questi cubetti vengono poi immersi in un particolare liquido in cui vengono combinati acqua, sale, aceto, molto spesso anche baijiu, e tutta una serie di altri ingredienti che includono anche riso, fave di soia e pasta di soia. La seconda varietà, ovvero il tofu che da il nome a questo post, è il tofu fermentato, detto stinky tofu in inglese e tofu puzzolente in italiano. In questo caso il tofu fresco viene immerso in una salamoia creata con latte fermentato, verdure e carne. La salamoia può anche includere gamberetti secchi, amaranto, senape, germogli di bambù e altre spezie cinesi. Ciò che se ne ricava è un tofu molto puzzolente, nauseabondo, che ricorda l’odore del cavolo marcio o dei rifiuti putrefatti. Tuttavia i cinesi lo adorano, lo considerano una delizia, una vera e propria prelibatezza. Viene principalmente consumato fritto accompagnato da diversi tipi di salse, piccanti o agrodolci. Tuttavia, può venire anche mangiato freddo, al vapore, arrostito o bollito.

La leggenda vuole che il tofu puzzolente sia stato inventato da un personaggio di nome Wang Zhihe, di famiglia povera e produttrice di tofu. Egli ebbe comunque la possibilità di studiare e si recò a Pechino dove provò a passare gli esami imperiali. Avendo tuttavia fallito ma non volendo perdere la faccia, rimase a Pechino dove decise di mettersi a vendere tofu proprio come la sua famiglia. In un’estate torrida, avendo paura che il suo tofu si deteriorasse a causa del caldo e diventasse quindi invendibile, decise di tagliare il tofu in cubetti e nasconderlo al riparo in una giara di terracotta insieme a un po’ di sale per qualche giorno. La combinazione dei vari residui di altri cibi (spezie, ortaggi) all’interno della giara e del sale aggiunto da Wang Zhihe permise al tofu di fermentare e quando il nostro venditore riaprì la giara si trovò davanti un nuovo prodotto che, nonostante il puzzo nauseabondo, decise comunque di assaggiare. Avendone testato non solo la commestibilità ma anche la delicatezza al palato, decise quindi di venderlo con il nome di puzzolente, aprendo quindi la strada al commercio di tale prodotto.

La caratteristica principale di questo tofu, comunque, è l’odore: una delle cose più nauseabonde, orribili e indimenticabili che una persona abbia mai incontrato. La pagina di Wikipedia dice: “L’odore di questo tofu è pungente, simile a quello di certi formaggi stagionati, o all'odore di marcio e di feci”. La pagina del Global Times, il quotidiano in lingua inglese che appartiene al Quotidiano del Popolo, dice: “si tratta di uno snack maleodorante, che inquina l’aria con un tanfo simile a quello di carne putrida, di cesso di hutong e fiato di cane messi insieme. E’ facilmente riconoscibile a distanza di metri dal suo odore oppure, se si è ancora lontani, è riconoscibile guardando le facce delle persone che hanno appena passato lo stand in cui viene venduto, i quali si schiacciano le narici riuscendo a malapena a respirare”. Reuters parla di “un aroma che rappresenta l’incrocio tra i rifiuti bruciati e i cadaveri in decomposizione”. La BBC lo paragona gentilmente al “blue cheese del tofu”, dove blue cheese sta per quel buonissimo formaggio molto simile al gorgonzola ma più compatto, famoso per il forte odore e sapore. Il sito Dissapore, che elenca i 13 cibi più puzzolenti del mondo, mette il chou tofu al secondo posto definendolo l’odore come di “fogna a cielo aperto”.

Il tofu puzzolente è un alimento tipico della cucina cinese che ha ovviamente seguito I suoi migranti nei paesi dove questi si sono spostati, in particolare Taiwan e Hong Kong. Tra i posti migliori dove degustare il chou tofu ricordiamo Shaoxing, cittadina da cui era partita l’idea, dove viene cucinato fritto o saltato e degustato in cubetti posti su di uno spiedino, accompagnato da salse piccanti o meglio agrodolci, come vuole la cucina di Shanghai e Zhejiang. Famosa anche la versione piccante del chou tofu diffusa a Chongqing, nel Sichuan e nello Hunan, in particolare Changsha, città natale di Mao Zedong. In questa versione il tofu fritto viene degustato con una salsa a base di coriandolo, erba cipollina, peperoncino, pepe del Sichuan e olio. Un altro posto famoso, anche tra i cinesi stessi, per degustare il chou tofu è Taiwan e in particolare tutti i suoi mercati notturni, famosissimi su tutta l’isola ma anche in tutta l’Asia. Nei mercati notturni di Taiwan, praticamente, uno stand ogni due o tre vende chou tofu. Anche nel loro caso, il tofu puzzolente è cucinato fritto e strafitto con una miriade di salse: piccanti, agrodolci, ketchup e chi più ne ha più ne metta.

Io, devo dir la verità, non sono mai riuscita a superare l’odore nauseabondo e penetrante del chou tofu, specialmente quello fritto che vendono come cibo di strada, e riuscire a degustarlo. Però, vi lascio con due riflessioni: la prima, che in Toscana c’è un detto che dice “Fritta è buona anche una ciabatta”; la seconda è ricordare a tutti che la maggior parte degli italiani pensa che la cucina francese sia mediocre perché insaporisce ogni piatto con le salse. Che entrambe queste cose vadano applicate anche al chou tofu?


Il testo di questo post è stato utilizzato per registrare la puntata della rubrica Cineserie intitolata “Puzzolente non si può” su Radio Meyooo disponibile al link http://www.spreaker.com/user/8356020/0074-cineserie-una-cosa-puzzolente per l’ascolto in streaming o per il download. Disponibile anche su Ipodcast cercando Radio Meyooo.

venerdì 8 gennaio 2016

Lu Xun

Mentre girovagavo per le vie della zona di Hongkou qui a Shanghai, sono stata attratta dal parco dedicato a Lu Xun, dove ero già stata qualche anno fa ma senza soffermarmi troppo. Lu Xun è uno dei più grandi scrittori cinesi del secolo scorso e la sua storia personale è interessantemente intracciata con gli eventi storici cinesi del ventesimo secolo.


Lu Xun è nato nel 1881 a Shaoxing, una cittadina a sud di Hangzhou, famosa per le sue casette bianche in architettura cinese affacciate sui canali. Proviene da una famiglia benestante dove sia il nonno che il padre sono funzionari dello stato: all’epoca, significava dover passare diversi gradi di esami imperiali sullo studio dei classici cinesi e possedere una vasta cultura. Conseguentemente, anche Lu Xun riceve questo tipo di educazione in un periodo però di grande subbuglio. La Cina aveva appena perso le due guerre dell’oppio contro gli stranieri, la dinastia imperiale era in declino, i funzionari imperiali si opponevano ad ogni proposta di modernizzazione perché troppo legati alle tradizioni millenarie, i pochi movimenti che propugnavano il rinnovamento erano illegali e la società era completamente allo sbando a causa di differenti fazioni politiche ed eserciti regionali in perenne lotta tra di loro.  

La giovinezza di Lu Xun viene dunque spesa tra gli studi classici in un ambiente in declino e la volontà di esprimere l’inadeguatezza di tutta la società cinese. Tra il 1902 al 1909 si trasferisce in Giappone per studiare medicina con una borsa di studio statale: abbandona tuttavia gli studi in medicina per dedicarsi, invece, alla cura delle menti, ritenendo che i suoi connazionali necessitassero di riflettere su loro stessi e sulla società cinese per modernizzarla e migliorarla. Incarica dunque la sua professione di scrittore del compito sociale di risvegliare la coscienza dei cinesi. Le sue opere, principalmente saggi, racconti e poesie, rappresentano una critica profonda della corrotta e litigiosa società cinese dell’epoca, staticamente legata alle tradizioni confuciane. Tra le sue opere più famose, si ricordano “Diario di un pazzo” del 1918 e “La vera storia di Ah Q” del 1921, due brevi racconti che ben riescono a rappresentare la sua figura e la portata del suo pensiero.
Lu Xun, proprio per questo suo acuto spirito critico, diventa per decenni il simbolo del rinnovamento per diversi gruppi e partiti politici. Nel 1919, dopo la pubblicazione di Diario di un pazzo egli diventa lo scrittore simbolo del “Movimento per una nuova cultura”, composto da intellettuali che come lui stesso erano stati educati sulla base dei classici ma ritenevano fosse arrivato il momento di cambiare, di creare una nuova cultura basata sui nuovi valori e standard occidentali, con particolare riferimento a scienza e democrazia. I principi a cui si ispiravano comprendevano, fra gli altri, la fine della società patriarcale cinese basata sui testi confuciani, l’introduzione della democrazia e dell’egualitarismo, un generale approccio progressista orientato al futuro anziché la staticità della tradizione antica. Lu Xun e gli altri intellettuali diventano i primi a scrivere le loro opere in lingua vernacolare, in cinese “baihua”, ovvero la lingua che veniva comunemente usata nel parlato dalle persone, che molto si discostava invece dalla lingua scritta, ovvero il cinese classico. Ritenevano infatti che il modo migliore per creare una nuova cultura fosse, in primo luogo, l’utilizzo di una lingua accessibile a tutti e non solamente ad un’élite di persone.

Lu Xun nel frattempo era ritornato a Shaoxing dal Giappone, da cui si era successivamente trasferito a Pechino che, insieme a Shanghai, rappresentava il fulcro di questo nuovo movimento. La data più significativa di questo fermento sociale è il 4 maggio 1919, giorno in cui gli studenti delle università di Pechino scendono in piazza a protestare contro il governo. La dinastia imperiale era stata rovesciata nel 1911, sostituita da un fittizio governo repubblicano capitanato dal partito nazionalista. Questo giorno viene considerato dai partecipanti come l’esempio più importante del rinascimento cinese, la presa di coscienza del popolo di essere una nazione e di poter influenzare il governo al cambiamento. Il movimento non ha troppo successo e gli insoddisfatti si rifugiano nel Partito Comunista Cinese, che nascerà di lì a poco il 31 luglio 1921 a Shanghai. Anche Lu Xun si ritrova a Shanghai nel 1927 dove rimane fino alla sua morte nel 1936 e questo è il motivo per cui vi è un parco a lui dedicato contenente, fra le altre cose, la sua tomba. Non si iscrive mai al partito comunista cinese ma fonda, insieme ad altri intellettuali, la Lega degli scrittori di sinistra, di cui vi è invece un museo. Tuttavia, per il suo spirito progressista, rivoluzionario e critico nei confronti dell’antica società feudale, diventa uno degli autori più celebrati dai comunisti cinesi i quali, dopo la vittoria del 1949, lo rendono uno dei capisaldi delle letture maoiste.

Come racconta bene Yu Hua, scrittore contemporaneo cinese di cui ho già parlato in questo articolo, Lu Xun durante la rivoluzione culturale era l’unico autore di cui era concessa la lettura oltre agli scritti di Mao Zedong. Frequenti erano anche le sue citazioni, spesso scritte nei dazibao, ovvero i poster “a grandi caratteri”, letteralmente, che venivano appesi per promuovere le politiche di turno. Infine, Lu Xun era l’unico ad essere appellato “Signore”, mentre tutto il resto della società si riferiva agli altri utilizzando il termine equo “compagno/a”, avendo il comunismo abolito le gerarchie. 

Egli ha continuato ad essere portato sul palmo di mano dai cinesi fino all’inizio del decennio quando, iniziando dal Jiangsu, sono scomparsi i suoi scritti dai libri di testo scolastici delle scuole medie oppure sono diventati facoltativi. A quanto pare il problema sarebbe che gli studenti, secondo l’agenzia Nuova Cina, non devono leggere niente di profondo. Gli scritti di Lu Xun vengono considerati troppo introspettivi e, come azzarda qualcuno, stimolano la nascita di uno spirito critico troppo pericoloso per la società cinese contemporanea. Altri invece sottolineano come il suo accantonamento sia invece da interpretare come una volontà di allargare le letture dei giovani cinesi verso testi che celebrino invece i successi del paese per infiammare i cuori di sicurezza e autostima.

Il parco dedicato a Lu Xun, da cui era partita la nostra storia, colleziona una serie di monumenti a lui dedicati: la tomba con una scritta riportante le parole di Mao in persona, il museo con alcuni degli oggetti a lui appartenuti, ed il memoriale che consiste in una statua di Lu Xun seduto trionfante come su un trono. Nei paraggi si dice vi sia anche la sua vecchia casa in mattoni rossi, ma non l’ho trovata: credo sia stata atterrata dalle ruspe che vi hanno costruito una via di centri commerciali. 

Anche a Shaoxing vi sono dei luoghi turistici a lui dedicati, tra cui le sue due case d’infanzia, la stanza dove studiava, il museo a lui dedicato che ospita anche il centro di ricerca. Addirittura, l’azione di recupero dei luoghi natali di Lu Xun ha portato una più generale ondata di recupero delle tradizioni di Shaoxing, tra cui lo stinky tofu, il Shaoxing wine (baijiu) e la calligrafia. Ma di queste cose, magari, ne parliamo un’altra volta!

Questo testo è stato utilizzato per la puntata "Uno scrittore famoso" della rubrica Cineserie su Radio Meyooo, disponibile al link http://www.spreaker.com/user/8356020/0071-cineserie-uno-scrittore-famoso per l'ascolto in streaming o per il download, oppure su Ipodcast cercando "Radio Meyooo". 

lunedì 4 gennaio 2016

Moganshan: ieri e oggi

Sentii parlare per la prima volta di Moganshan mentre vivevo ad Hangzhou nel 2011. La mia amica C. aveva un appuntamento con un amico a “Moganshan” e, convinta di dover andare in qualche posto su Moganshan road, una delle vie di Hangzhou, si è invece trovata in una corsa di taxi infinita verso la cittadina montagnosa di Moganshan. Nell’estate 2012, invece, mentre scrivevo la tesi di laurea dopo essermi appena trasferita a Shanghai per lavoro, lessi quest’articolo di Mark Kitto, allora uno sconosciuto per me, in cui spiegava i motivi della sua dipartita dalla Cina. Dopo aver fondato una compagnia mediatica specializzata in riviste di lifestyle in inglese, si vide confiscare tutto il patrimonio. Dopo aver ridato vitalità ad un piccolo paese di montagna di nome Moganshan (ehi, ma ne ho già sentito parlare!), si è sentito dire che gli stranieri erano ben accolti a Moganshan per passare il weekend, non per farci del business. Infine, si è accorto che nonostante i suoi 16 anni di Cina, i suoi interessi economici nel paese, una moglie e due figli cinesi, un infinito amore per questo paese, lui sarebbe stato comunque considerato uno “straniero”. Con questo articolo si apriva la mia avventura cinese: tutte affermazioni di cui io avevo già fatto esperienza nel mio anno precedente passato in Cina.
Il mio rapporto con Moganshan prosegue quando ne sento parlare nelle bocche dei miei amici di Shanghai come meta per una gita fuori porta e quando qualcuno mi ripropone l’articolo di cui sopra, illuminandomi sul fatto che Mark Kitto fosse il fondatore di “That’s Shanghai”, “That’s Beijing” e “That’s Guangzhou”. Chi è Mark Kitto e cos’è Moganshan?


Moganshan è una località di montagna poco distante da Hangzhou diventata, negli ultimi anni, una famosa meta del weekend per molte abitanti di Shanghai e Zhejiang. La montagna Mogan (shan=montagna, in cinese) deriva il suo nome da due personaggi chiamati Ganjiang e Moye, marito e moglie, entrambi abili spadaccini. La leggenda racconta che i due fossero stati mandati da uno dei re di allora a Moganshan allo scopo di forgiare una spada molto resistente per lui. L’imperatore aveva dato loro tre mesi di tempo, mentre i due impiegarono invece tre anni, producendo in realtà due spade, una spada femmina e una spada maschio, a cui dettero i loro stessi nomi. Ganjiang decise di tenere la spada maschio per se e donare all’imperatore quella femmina. Quando l’imperatore si vide recapitare la spada con tre anni di ritardo e scoprì che per giunta gli era stata offerta solamente la spada femmina perché l’altra era stata nascosta, fece uccidere Ganjiang. Moganshan prende dunque il nome proprio dal Mo di Moye e dal Gan di Ganjiang: ancora oggi, infatti, facendo trekking per la montagna, si trova il laghetto delle spade, luogo dove sembrerebbe siano state forgiate le spade secondo questa leggenda.

Il posto rimane tuttavia un’angusta località di montagna semideserta e occupata dal bamboo fino alla metà del diciannovesimo secolo, quando gli stranieri scoprono la montagna Mogan. A seguito della sconfitta della Cina durante la prima e la seconda guerra dell’oppio, molti stranieri si trasferiscono a Shanghai. Si accorgono ben presto che il clima della città è terribile: freddissimo d’inverno, umido in primavera, caldo atroce d’estate (certe cose non cambiano mai!). Non abituati a simili temperature, cominciano a cercare delle mete per le loro vacanze estive dove rifugiarsi dalla calura. Inizialmente si spostano in Giappone o nel sud-est asiatico, in seguito alcuni missionari di rientro dalla Cina continentale trovano una località di montagna nel Jiangxi chiamata Kuling che viene ben presto assediata: affollamento di persone e prezzi dei terreni alle stelle. Sempre i missionari approdano infine a Moganshan tra il 1897 e il 1898, cominciando a comprare terreni nella zona creando le loro dimore estive. Si tratta di ville in pietra di granito, costruite in stile vittoriano britannico con accenti americani o alpini, dato appunto il contesto montagnoso. Va da sé che insieme alle ville fioriscono anche associazioni sportive, campi da gioco, chiese, sale per concerti e piscine, il tutto supervisionato da un comitato per la gestione armoniosa della località. Tra il 1920 e il 1930, Moganshan comincia ad ospitare anche cinesi benestanti, tra cui i banditi che si occupavano di commercio dell’oppio. I più famosi erano Du Yuesheng e Zhang Xiaolin, dei quali si racconta che allevino tigri e che una volta abbiano dato una delle loro concubine in pasto a una di queste tigri perché scoperta a pavoneggiarsi con una delle guardie della villa. Un altro residente del luogo è il ministro degli esteri di Chiang Kai Shek, il quale riceve un giovane Chiang Kai Shek appena maritato con Soong Meiling e, sempre nella sua casa che è tuttora visibile al pubblico e diventata un museo, si è incontrato anche con Zhou Enlai, braccio destro di Mao, per decidere come meglio agire per sconfiggere i giapponesi durante la seconda guerra mondiale.

La fase idillica di Moganshan termina ovviamente nel 1949 quando, dopo la vittoria dei comunisti, gli stranieri lasciano il paese e con esso anche i loro possedimenti. La cittadina cade in rovina, le ville vengono occupate dalle unità lavorative del luogo che le riadattano a farle diventare dei dormitori estivi per coloro che lavorano sulla montagna e che poi la abbandonano durante l’inverno la mancanza di riscaldamento. Così fino al 1999 quando uno straniero ritorna per primo a Moganshan, molto per caso. Questo straniero è Mark Kitto, un sinologo arrivato in Cina alla fine degli anni ottanta per studiare cinese, poi ritornato per lavoro e rimasto a Shanghai proprio con la decisione di aprirci la sua azienda. Durante il capodanno cinese del 1999 decide di fare una gita fuori porta a Moganshan, di cui aveva sentito solamente qualche vaga parola. Tuttavia, raggiunta la cittadina rimane, usando le sue parole, senza fiato: ciò che gli appare davanti agli occhi è un villaggio di montagna in stile europeo, una cosa talmente improbabile in Cina da rimanere comprensibilmente sconvolti. Data la bellezza del posto vergine ad ogni tipo di turismo, Mark e la moglie, qualche anno dopo, decidono di affittare per tre anni due villette sulla montagna, ristrutturarle e renderle la loro residenza appartata lontana dalla frenesia di Shanghai. Tuttavia, quello che Mark Kitto fa a Moganshan va ben oltre l’affitto di due villette per sé: incuriosito dalle ville e dal passato del luogo, comincia infatti a fare delle ricerche sulla località di cui all’epoca nessuno sapeva più nulla. Si mette a rovistare negli archivi della Shanghai Library, dove trova tutte le pubblicazioni originali dei giornali dell’epoca, il North China Daily News e il North China Herald, cercando di ricostruire la storia della località, dei suoi abitanti e di recuperare l’atmosfera dell’epoca. Ha la fortuna di avere accesso anche a una serie di documenti nascosti dall’amministrazione della montagna che gli permettono di conoscere e studiare le planimetrie delle case di un tempo, le foto, i proclami dell’associazione che gestiva la montagna, perfino di entrare in contatto con qualche vecchio residente ancora in vita. Quando il governo cinese decide di requisire la sua azienda mediatica (That’s, appunto), i suoi guadagni e anche il suo trademark, Mark si trasferisce con la moglie e i figli a Moganshan, potendo ancora contare sulle sue ville. Forte del lavoro storico che aveva fatto, decide di ristrutturare altre ville e trasformarle in guesthouse, facendosi l’unico tuttora inarrivabile promotore del risveglio della cittadina. Con l’avvio della sua nuova attività, altre aziende si uniscono allo sviluppo della cittadine rendendola ciò che è ora.

È stato triste scoprire che la persona che ha reso possibile la rinascita della località se ne sia andata proprio quando sono arrivata io. Ma in fondo lo capisco, soprattutto se vedesse cosa è diventata ora Moganshan. Sebbene sia decisamente un’ottima meta per una gita fuori porta, bisogna tenere ben presente che ciò che aspetta l’incauto visitatore non è più una cittadina sonnolenta, bensì un trambusto infinito di auto, taxi, bus pubblici e privati, clacson e orde di cinesi chiassosi e decisamente poco inclini al rispetto dell’ambiente. Dopo la trovata di Kitto nel riaccendere l’interesse turistico verso la località, egli è stato seguito da altri stranieri e cinesi che hanno deciso di trasformare Moganshan nella Cortina d’Ampezzo dello Zhejiang. Trovare una stanza a meno di 1000 rmb a notte (141 euro circa) è ormai impresa impossibile se non si prenota con mesi di anticipo. Le guesthouse cinesi trascurate e puzzolenti si alternano agli hotel extra lusso dotati di piscina, a quelli eco-friendly e a quelli che organizzano trekking, biciclettate o rafting in montagna. Per arrivare alla cittadina di Moganshan vera e propria bisogna guidare in fila lungo il fianco della montagna fino al casello per comprare il biglietto posto quasi sulla cima della montagna. Non importa l’ora in cui si arriva, si trova sempre un gran groviglio di macchine incastrate l’una contro l’altra perché i cinesi, pensando di essere più furbi degli altri, decidono di superare la macchina precedente impedendo il passaggio a coloro che arrivano nella direzione opposta. Giuro che è così, non sto esagerando e nemmeno voglio essere polemica: si tratta di un dato di fatto da prendere in considerazione prima dell’eventuale gita. Armatevi insomma di una buona dose di sana pazienza. Le ville di Kitto sono aumentate e sono ancora funzionanti: forse uno dei pochi ripari dal rumore della strada e dalla miriade di turisti tuttora presenti in cima alla montagna. Altrimenti, optate per una sistemazione ai piedi della stessa, preferendo la cima della montagna solamente per una gita di trekking. 

domenica 3 gennaio 2016

Nel blu dipinto di fuxia

Come spiega bene la mia amica Kim in quest’articolo, i problemi non vanno sempre visti come degli svantaggi, ma come un punto di partenza per sviluppare creatività e nuovi progetti. Questo il mio motto per il nuovo anno, soprattutto nel mio approccio con l’inquinamento cinese, di cui ho raccolto diverse tappe degli ultimi che raccontano le storie più stravaganti.


La prima tappa è rappresentata dal 9 novembre 2015, giorno in cui l’inquinamento a Shenyang supera i 1000. Cosa significa 1000? L’inquinamento viene misurato tramite un indice chiamato Indice di Qualità dell’Aria (Air Quality Index, d’ora in avanti AQI) che misura la concentrazione del particolato, ovvero tutte le sostanze sospese nell’aria. Nello specifico misura il peso, espresso in microgrammi, di un determinato tipo di particolato all’interno di un metro cubo. Ci sono essenzialmente tre tipi di particolato dannosi per le persone, suddivisi in:
-       particolato formato da particelle grossolane che superano i 2,5 micron (milionesimo di metro, cioè millesimo di millimetro) di grandezza. Spesso ci si riferisce chiamandoli PM10;
-       particolato formato dall'aggregazione delle particelle più piccole, compreso tra 0,1 e 2,5 µm in diametro (PM2.5);
-       particolato ultrafine, con diametro inferiore 0,1 µm (PM0.1)
L’AQI prende in considerazione tutti questi tipi di particolato e ne ricava una media che va da 0, con inquinamento nullo, a 500, l’inquinamento massimo che questo indice è in grado di misurare. Gli effetti sulla salute delle persone vengono poi tendenzialmente suddivisi in una scala composta da 5 categorie: da 0 a 50 buono, da 51 a 100 moderatamente inquinato, da 101 a 150 dannoso per le persone sensibili, da 151 a 200 dannoso, da 201 a 300 molto dannoso, da 301 in poi, praticamente, se respiri stai facendo un danno al tuo corpo, il che rappresenta un vero e proprio ossimoro considerando che respirare è la prima cosa che devono fare gli esseri umani quando nascono.
Tuttavia, vi sono due limiti. Da una parte, ben sappiamo che in Cina il limite di 500 viene spesso superato. Dall’altra, alcuni particolati sono ben più nocivi di altri: mi riferisco in particolare ai PM2.5 e al particolato ultrafine che, proprio perché molto piccolo in dimensione, sono in grado di penetrare profondamente nei polmoni fino agli alveoli durante la respirazione. Quindi, proprio a seguito di questi due limiti, è stato affinato l’AQI producendo un indice che misura solo ed esclusivamente i PM2.5 e inferiori in grado di superare il limite di 500 posto in precedenza.

Quindi, dire che l’inquinamento di Shenyang ha superato i 1000 significa dire che all’interno di un metro cubo di aria vi erano più di 1000 microgrammi di PM2.5, ovvero che respirare quel giorno a Shenyang ha creato danni per gli organismi viventi. Shenyang è una città che si trova nel nord della Cina, nella provincia del Liaoning, in cui le temperature arrivano ben oltre i -20° C durante l’inverno. Per riscaldare gli edifici, dunque, si usa il carbone che è la principale fonte di tale inquinamento. Secondo i funzionari locali l’inquinamento è arrivato a 1200 mentre secondo l’agenzia Nuova Cina si è arrivati perfino a 1400: i residenti sono stati invitati a non uscire dalle loro case e a indossare maschere qualora fosse proprio necessario: si è cominciato a parlare di Airpocalypse, nome che io trovo semplicemente magnifico e frutto di un grande ingegno.

Qui si apre il grande mondo delle maschere. Ce n’è di tutti i tipi e non mi riferisco solamente al fatto che ci sono tanti tipi di maschere con filtri diversi, questo è ovvio. Ma che davvero sono state create infinite tipologie: maschere da città, da sport, da bandito, ultrafini, di materiale tecnico. Addirittura vi è una linea disegnata dallo stilista argentino Marcelo Burlon e un’intera sfilata dedicata alle maschere anti inquinamento. I prezzi di queste maschere, oltretutto, sono importanti: quelle di Marcelo Burlon arrivano a 135 sterline, ovvero 185 euro!
Il mondo delle maschere non termina qui: ci sono sposini che hanno fatto l’album del matrimonio con le maschere antigas, una giovane artista che si è creata un vestito da matrimonio realizzato interamente utilizzando maschere antismog bianche, girovagando poi per la città di Pechino mettendo in mostra la sua creazione. Infine c’è chi ha pensato bene di aggiungere una maschera anti inquinamento al ritratto di Mao Zedong appeso alla porta della Città Proibita.

La storia dell’inquinamento cinese dell’inverno 2015 vede la sua seconda tappa il 1 dicembre, quando un artista dello Hubei che si fa chiamare “Fratello Noce” (il nome mi faceva ridere e allora ho deciso di tradurlo in italiano che fa ancora più ridere: Brother Nut, in inglese, Jianguo Xiongdi, in cinese) si presenta sulla scena pechinese con un mattone di inquinamento. Fratello Noce ha passeggiato per le vie della capitale cinese per 100 giorni, iniziando il 24 luglio e terminando il 29 novembre, risucchiando l’inquinamento con un aspirapolvere industriale da 1000 watt che, secondo i media cinesi, sarebbe in grado di aspirare in un giorno ciò che ben 62 persone riescono a respirare. Avendo collezionato più di 100 grammi di polvere durante questa performance, l’artista ha infine pensato di miscelare le polveri con dell’argilla fino ad ottenere un mattone. La performance, facente parte di un progetto più ampio chiamato “Il progetto polvere” (The Dust Project), ha riscosso un buon successo su Weibo, totalizzando nel giro di poche ore ben più di 4,000 commenti da parte dei netizen cinesi.  
Alcune persone hanno pensato si trattasse di uno spazzino tecnologico, altre che vendesse aspirapolveri. Uno spazzino gli ha addirittura chiesto di aiutarlo a pulire! Ovviamente c’è stato chi ha anche cercato di comprare l’opera per un valore di 1600 dollari, ma Fratello Noce si è rifiutato. Ha detto che la sua opera non è in vendita perché il progetto non ha scopo di lucro ma di sensibilizzazione del popolo cinese sul tema dell’inquinamento. Il problema, tuttavia, è che lui stesso si definisce perdente: si paragona a Sisifo, l’eroe mitologico greco condannato da Zeus a trasportare per l’eternità un masso fino alla cima di un monte da cui poi la pietra riscende e Sisifo riprende da capo. Questo suo paragone mi ricorda Chai Jing, la giornalista cinese che prima di lui e più di tutti si era data la stessa missione, e il suo documentario “Under the Dome”: è finita censurata.

La terza tappa è rappresentata dall’8 dicembre in cui a Pechino, per la prima volta nella storia, scatta l’allarme rosso: scuole chiuse, traffico a targhe alterne, cantieri in pausa e barbecue proibiti (!), in un giorno in cui tra l’altro il livello di inquinamento era a 291 secondo l’ambasciata americana. 

Arriviamo dunque alla quarta tappa del 16 dicembre quando, per la prima volta, leggo di un’azienda canadese chiamata Vitality Air con sede a Tianjin che si è messa a vendere bottiglie di aria pulita per 400 rmb/l’una. I suoi due fondatori, a quanto pare, prendono l’aria dalle Montagne Rocciose del Canada (sito protetto dall’UNESCO) e la imbottigliano in pratiche bottiglie di alluminio dotate di valvola in plastica da cui l’aria fuoriesce sotto forma di spray. Il sito è assurdamente dettagliato: specificano addirittura che tutte le loro bottiglie sono 100% riciclabili, in modo da ridurre l’impatto ambientale, controllate e certificate una per una per garantire il massimo del confort e della soddisfazione del cliente finale, ma soprattutto multifunzionali. Citando dal sito: “Non importa se devi restare sveglio a lungo per una nottata di studio, festeggiare per una notte intera o recuperare dopo un duro lavoro: le nostre bottiglie hanno diverse misure, adattandosi perfettamente a zaini, borsette o borse per lo yoga. Qualunque cosa decidi di fare, il nostro prodotto sarà al tuo fianco”.

Si arriva dunque all’ultima tappa della storia dell’inquinamento di questo inverno in Cina: la vera e propria ciliegina sulla torta. Qualche giorno fa, arrivo in ufficio con una bella mascherina fuxia dato che a Shanghai l’inquinamento era prossimo ai 300 e la mia collega mi chiede se ho letto di Nanchino. Non avendolo fatto, mi guarda, sorride e mi dice: “Ieri l’inquinamento a Nanchino era rosa!”. Cerco immediatamente su Internet e trovo questa pagina con una foto raffigurante dei grattacieli di Nanchino su uno sfondo splendidamente roseo. La didascalia dice che gli esperti affermano di non avere motivo di preoccuparsi: non si tratta di strane sostanze nell’aria ma solamente dell’effetto della nebbia con la luce del cielo ad aver creato un’atmosfera rosa baby. La mia collega mi risponde che lei non si fida: e se lo dicono anche i cinesi…

L’inquinamento in Cina è un problema strutturale per il quale serviranno anni di cambiamento economico e sociale prima di una totale risoluzione. Nel frattempo, possiamo attrezzarci con mascherine fashion, ridere dell’aria imbottigliata e stupirci delle stravaganti idee di artisti e imprenditori i quali, anziché vedere l’inquinamento come un impedimento, lo hanno trasformato in una buona occasione per sviluppare idee e creatività. Buon anno nuovo!

Questo pezzo è stato utilizzato per realizzare la puntata di Cineserie "Nel blu dipinto di fuxia" su Radio Meyooo disponibile al link http://www.spreaker.com/user/8356020/0068-cineserie-nel-blu-dipinto-di-fuxia per l'ascolto in streaming o il download, o su Ipodcast cercando Radio Meyooo.