Sentii parlare per la
prima volta di Moganshan mentre vivevo ad Hangzhou nel 2011. La mia amica C.
aveva un appuntamento con un amico a “Moganshan” e, convinta di dover andare in
qualche posto su Moganshan road, una delle vie di Hangzhou, si è invece trovata
in una corsa di taxi infinita verso la cittadina montagnosa di Moganshan. Nell’estate
2012, invece, mentre scrivevo la tesi di laurea dopo essermi appena trasferita a
Shanghai per lavoro, lessi quest’articolo
di Mark Kitto, allora uno sconosciuto per me, in cui spiegava i motivi
della sua dipartita dalla Cina. Dopo aver fondato una compagnia mediatica
specializzata in riviste di lifestyle in inglese, si vide confiscare tutto il
patrimonio. Dopo aver ridato vitalità ad un piccolo paese di montagna di nome
Moganshan (ehi, ma ne ho già sentito parlare!), si è sentito dire che gli stranieri
erano ben accolti a Moganshan per passare il weekend, non per farci del
business. Infine, si è accorto che nonostante i suoi 16 anni di Cina, i suoi
interessi economici nel paese, una moglie e due figli cinesi, un infinito amore
per questo paese, lui sarebbe stato comunque considerato uno “straniero”. Con
questo articolo si apriva la mia avventura cinese: tutte affermazioni di cui io
avevo già fatto esperienza nel mio anno precedente passato in Cina.
Il mio rapporto con
Moganshan prosegue quando ne sento parlare nelle bocche dei miei amici di
Shanghai come meta per una gita fuori porta e quando qualcuno mi ripropone l’articolo
di cui sopra, illuminandomi sul fatto che Mark Kitto fosse il fondatore di “That’s Shanghai”, “That’s Beijing” e “That’s Guangzhou”. Chi è Mark
Kitto e cos’è Moganshan?
Moganshan è una località
di montagna poco distante da Hangzhou diventata, negli ultimi anni, una famosa
meta del weekend per molte abitanti di Shanghai e Zhejiang. La montagna Mogan (shan=montagna,
in cinese) deriva il suo nome da due personaggi chiamati Ganjiang e Moye,
marito e moglie, entrambi abili spadaccini. La leggenda racconta che i due
fossero stati mandati da uno dei re di allora a Moganshan allo scopo di
forgiare una spada molto resistente per lui. L’imperatore aveva dato loro tre
mesi di tempo, mentre i due impiegarono invece tre anni, producendo in realtà
due spade, una spada femmina e una spada maschio, a cui dettero i loro stessi
nomi. Ganjiang decise di tenere la spada maschio per se e donare all’imperatore
quella femmina. Quando l’imperatore si vide recapitare la spada con tre anni di
ritardo e scoprì che per giunta gli era stata offerta solamente la spada
femmina perché l’altra era stata nascosta, fece uccidere Ganjiang. Moganshan
prende dunque il nome proprio dal Mo di Moye e dal Gan di Ganjiang: ancora
oggi, infatti, facendo trekking per la montagna, si trova il laghetto delle
spade, luogo dove sembrerebbe siano state forgiate le spade secondo questa
leggenda.
Il posto rimane tuttavia
un’angusta località di montagna semideserta e occupata dal bamboo fino alla
metà del diciannovesimo secolo, quando gli stranieri scoprono la montagna
Mogan. A seguito della sconfitta della Cina durante la prima e la seconda
guerra dell’oppio, molti stranieri si trasferiscono a Shanghai. Si accorgono
ben presto che il clima della città è terribile: freddissimo d’inverno, umido
in primavera, caldo atroce d’estate (certe cose non cambiano mai!). Non
abituati a simili temperature, cominciano a cercare delle mete per le loro
vacanze estive dove rifugiarsi dalla calura. Inizialmente si spostano in
Giappone o nel sud-est asiatico, in seguito alcuni missionari di rientro dalla
Cina continentale trovano una località di montagna nel Jiangxi chiamata Kuling
che viene ben presto assediata: affollamento di persone e prezzi dei terreni
alle stelle. Sempre i missionari approdano infine a Moganshan tra il 1897 e il
1898, cominciando a comprare terreni nella zona creando le loro dimore estive. Si
tratta di ville in pietra di granito, costruite in stile vittoriano britannico
con accenti americani o alpini, dato appunto il contesto montagnoso. Va da sé che
insieme alle ville fioriscono anche associazioni sportive, campi da gioco,
chiese, sale per concerti e piscine, il tutto supervisionato da un comitato per
la gestione armoniosa della località. Tra il 1920 e il 1930, Moganshan comincia
ad ospitare anche cinesi benestanti, tra cui i banditi che si occupavano di
commercio dell’oppio. I più famosi erano Du Yuesheng e Zhang Xiaolin, dei quali
si racconta che allevino tigri e che una volta abbiano dato una delle loro
concubine in pasto a una di queste tigri perché scoperta a pavoneggiarsi con una
delle guardie della villa. Un altro residente del luogo è il ministro degli
esteri di Chiang Kai Shek, il quale riceve un giovane Chiang Kai Shek appena
maritato con Soong Meiling e, sempre nella sua casa che è tuttora visibile al
pubblico e diventata un museo, si è incontrato anche con Zhou Enlai, braccio
destro di Mao, per decidere come meglio agire per sconfiggere i giapponesi
durante la seconda guerra mondiale.
La fase idillica di
Moganshan termina ovviamente nel 1949 quando, dopo la vittoria dei comunisti,
gli stranieri lasciano il paese e con esso anche i loro possedimenti. La
cittadina cade in rovina, le ville vengono occupate dalle unità lavorative del
luogo che le riadattano a farle diventare dei dormitori estivi per coloro che
lavorano sulla montagna e che poi la abbandonano durante l’inverno la mancanza
di riscaldamento. Così fino al 1999 quando uno straniero ritorna per primo a
Moganshan, molto per caso. Questo straniero è Mark Kitto, un sinologo arrivato
in Cina alla fine degli anni ottanta per studiare cinese, poi ritornato per
lavoro e rimasto a Shanghai proprio con la decisione di aprirci la sua azienda.
Durante il capodanno cinese del 1999 decide di fare una gita fuori porta a
Moganshan, di cui aveva sentito solamente qualche vaga parola. Tuttavia, raggiunta
la cittadina rimane, usando le sue parole, senza fiato: ciò che gli appare
davanti agli occhi è un villaggio di montagna in stile europeo, una cosa
talmente improbabile in Cina da rimanere comprensibilmente sconvolti. Data la bellezza del
posto vergine ad ogni tipo di turismo, Mark e la moglie, qualche anno dopo,
decidono di affittare per tre anni due villette sulla montagna, ristrutturarle
e renderle la loro residenza appartata lontana dalla frenesia di Shanghai.
Tuttavia, quello che Mark Kitto fa a Moganshan va ben oltre l’affitto di due
villette per sé: incuriosito dalle ville e dal passato del luogo, comincia infatti
a fare delle ricerche sulla località di cui all’epoca nessuno sapeva più nulla.
Si mette a rovistare negli archivi della Shanghai Library, dove trova tutte le
pubblicazioni originali dei giornali dell’epoca, il North China Daily News e il
North China Herald, cercando di ricostruire la storia della località, dei suoi
abitanti e di recuperare l’atmosfera dell’epoca. Ha la fortuna di avere accesso
anche a una serie di documenti nascosti dall’amministrazione della montagna che
gli permettono di conoscere e studiare le planimetrie delle case di un tempo,
le foto, i proclami dell’associazione che gestiva la montagna, perfino di
entrare in contatto con qualche vecchio residente ancora in vita. Quando il
governo cinese decide di requisire la sua azienda mediatica (That’s, appunto),
i suoi guadagni e anche il suo trademark, Mark si trasferisce con la moglie e i
figli a Moganshan, potendo ancora contare sulle sue ville. Forte del lavoro
storico che aveva fatto, decide di ristrutturare altre ville e trasformarle in guesthouse,
facendosi l’unico tuttora inarrivabile promotore del risveglio della cittadina.
Con l’avvio della sua nuova attività, altre aziende si uniscono allo sviluppo
della cittadine rendendola ciò che è ora.
È stato triste scoprire
che la persona che ha reso possibile la rinascita della località se ne sia
andata proprio quando sono arrivata io. Ma in fondo lo capisco, soprattutto se
vedesse cosa è diventata ora Moganshan. Sebbene sia decisamente un’ottima meta
per una gita fuori porta, bisogna tenere ben presente che ciò che aspetta l’incauto
visitatore non è più una cittadina sonnolenta, bensì un trambusto infinito di
auto, taxi, bus pubblici e privati, clacson e orde di cinesi chiassosi e
decisamente poco inclini al rispetto dell’ambiente. Dopo la trovata di Kitto
nel riaccendere l’interesse turistico verso la località, egli è stato seguito
da altri stranieri e cinesi che hanno deciso di trasformare Moganshan nella
Cortina d’Ampezzo dello Zhejiang. Trovare una stanza a meno di 1000 rmb a notte
(141 euro circa) è ormai impresa impossibile se non si prenota con mesi di
anticipo. Le guesthouse cinesi trascurate e puzzolenti si alternano agli hotel
extra lusso dotati di piscina, a quelli eco-friendly e a quelli che organizzano
trekking, biciclettate o rafting in montagna. Per arrivare alla cittadina di
Moganshan vera e propria bisogna guidare in fila lungo il fianco della montagna
fino al casello per comprare il biglietto posto quasi sulla cima della montagna.
Non importa l’ora in cui si arriva, si trova sempre un gran groviglio di
macchine incastrate l’una contro l’altra perché i cinesi, pensando di essere
più furbi degli altri, decidono di superare la macchina precedente impedendo il
passaggio a coloro che arrivano nella direzione opposta. Giuro che è così, non
sto esagerando e nemmeno voglio essere polemica: si tratta di un dato di fatto
da prendere in considerazione prima dell’eventuale gita. Armatevi insomma di
una buona dose di sana pazienza. Le ville
di Kitto sono aumentate e sono ancora funzionanti: forse uno dei pochi ripari
dal rumore della strada e dalla miriade di turisti tuttora presenti in cima
alla montagna. Altrimenti, optate per una sistemazione ai piedi della stessa, preferendo
la cima della montagna solamente per una gita di trekking.
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