lunedì 4 gennaio 2016

Moganshan: ieri e oggi

Sentii parlare per la prima volta di Moganshan mentre vivevo ad Hangzhou nel 2011. La mia amica C. aveva un appuntamento con un amico a “Moganshan” e, convinta di dover andare in qualche posto su Moganshan road, una delle vie di Hangzhou, si è invece trovata in una corsa di taxi infinita verso la cittadina montagnosa di Moganshan. Nell’estate 2012, invece, mentre scrivevo la tesi di laurea dopo essermi appena trasferita a Shanghai per lavoro, lessi quest’articolo di Mark Kitto, allora uno sconosciuto per me, in cui spiegava i motivi della sua dipartita dalla Cina. Dopo aver fondato una compagnia mediatica specializzata in riviste di lifestyle in inglese, si vide confiscare tutto il patrimonio. Dopo aver ridato vitalità ad un piccolo paese di montagna di nome Moganshan (ehi, ma ne ho già sentito parlare!), si è sentito dire che gli stranieri erano ben accolti a Moganshan per passare il weekend, non per farci del business. Infine, si è accorto che nonostante i suoi 16 anni di Cina, i suoi interessi economici nel paese, una moglie e due figli cinesi, un infinito amore per questo paese, lui sarebbe stato comunque considerato uno “straniero”. Con questo articolo si apriva la mia avventura cinese: tutte affermazioni di cui io avevo già fatto esperienza nel mio anno precedente passato in Cina.
Il mio rapporto con Moganshan prosegue quando ne sento parlare nelle bocche dei miei amici di Shanghai come meta per una gita fuori porta e quando qualcuno mi ripropone l’articolo di cui sopra, illuminandomi sul fatto che Mark Kitto fosse il fondatore di “That’s Shanghai”, “That’s Beijing” e “That’s Guangzhou”. Chi è Mark Kitto e cos’è Moganshan?


Moganshan è una località di montagna poco distante da Hangzhou diventata, negli ultimi anni, una famosa meta del weekend per molte abitanti di Shanghai e Zhejiang. La montagna Mogan (shan=montagna, in cinese) deriva il suo nome da due personaggi chiamati Ganjiang e Moye, marito e moglie, entrambi abili spadaccini. La leggenda racconta che i due fossero stati mandati da uno dei re di allora a Moganshan allo scopo di forgiare una spada molto resistente per lui. L’imperatore aveva dato loro tre mesi di tempo, mentre i due impiegarono invece tre anni, producendo in realtà due spade, una spada femmina e una spada maschio, a cui dettero i loro stessi nomi. Ganjiang decise di tenere la spada maschio per se e donare all’imperatore quella femmina. Quando l’imperatore si vide recapitare la spada con tre anni di ritardo e scoprì che per giunta gli era stata offerta solamente la spada femmina perché l’altra era stata nascosta, fece uccidere Ganjiang. Moganshan prende dunque il nome proprio dal Mo di Moye e dal Gan di Ganjiang: ancora oggi, infatti, facendo trekking per la montagna, si trova il laghetto delle spade, luogo dove sembrerebbe siano state forgiate le spade secondo questa leggenda.

Il posto rimane tuttavia un’angusta località di montagna semideserta e occupata dal bamboo fino alla metà del diciannovesimo secolo, quando gli stranieri scoprono la montagna Mogan. A seguito della sconfitta della Cina durante la prima e la seconda guerra dell’oppio, molti stranieri si trasferiscono a Shanghai. Si accorgono ben presto che il clima della città è terribile: freddissimo d’inverno, umido in primavera, caldo atroce d’estate (certe cose non cambiano mai!). Non abituati a simili temperature, cominciano a cercare delle mete per le loro vacanze estive dove rifugiarsi dalla calura. Inizialmente si spostano in Giappone o nel sud-est asiatico, in seguito alcuni missionari di rientro dalla Cina continentale trovano una località di montagna nel Jiangxi chiamata Kuling che viene ben presto assediata: affollamento di persone e prezzi dei terreni alle stelle. Sempre i missionari approdano infine a Moganshan tra il 1897 e il 1898, cominciando a comprare terreni nella zona creando le loro dimore estive. Si tratta di ville in pietra di granito, costruite in stile vittoriano britannico con accenti americani o alpini, dato appunto il contesto montagnoso. Va da sé che insieme alle ville fioriscono anche associazioni sportive, campi da gioco, chiese, sale per concerti e piscine, il tutto supervisionato da un comitato per la gestione armoniosa della località. Tra il 1920 e il 1930, Moganshan comincia ad ospitare anche cinesi benestanti, tra cui i banditi che si occupavano di commercio dell’oppio. I più famosi erano Du Yuesheng e Zhang Xiaolin, dei quali si racconta che allevino tigri e che una volta abbiano dato una delle loro concubine in pasto a una di queste tigri perché scoperta a pavoneggiarsi con una delle guardie della villa. Un altro residente del luogo è il ministro degli esteri di Chiang Kai Shek, il quale riceve un giovane Chiang Kai Shek appena maritato con Soong Meiling e, sempre nella sua casa che è tuttora visibile al pubblico e diventata un museo, si è incontrato anche con Zhou Enlai, braccio destro di Mao, per decidere come meglio agire per sconfiggere i giapponesi durante la seconda guerra mondiale.

La fase idillica di Moganshan termina ovviamente nel 1949 quando, dopo la vittoria dei comunisti, gli stranieri lasciano il paese e con esso anche i loro possedimenti. La cittadina cade in rovina, le ville vengono occupate dalle unità lavorative del luogo che le riadattano a farle diventare dei dormitori estivi per coloro che lavorano sulla montagna e che poi la abbandonano durante l’inverno la mancanza di riscaldamento. Così fino al 1999 quando uno straniero ritorna per primo a Moganshan, molto per caso. Questo straniero è Mark Kitto, un sinologo arrivato in Cina alla fine degli anni ottanta per studiare cinese, poi ritornato per lavoro e rimasto a Shanghai proprio con la decisione di aprirci la sua azienda. Durante il capodanno cinese del 1999 decide di fare una gita fuori porta a Moganshan, di cui aveva sentito solamente qualche vaga parola. Tuttavia, raggiunta la cittadina rimane, usando le sue parole, senza fiato: ciò che gli appare davanti agli occhi è un villaggio di montagna in stile europeo, una cosa talmente improbabile in Cina da rimanere comprensibilmente sconvolti. Data la bellezza del posto vergine ad ogni tipo di turismo, Mark e la moglie, qualche anno dopo, decidono di affittare per tre anni due villette sulla montagna, ristrutturarle e renderle la loro residenza appartata lontana dalla frenesia di Shanghai. Tuttavia, quello che Mark Kitto fa a Moganshan va ben oltre l’affitto di due villette per sé: incuriosito dalle ville e dal passato del luogo, comincia infatti a fare delle ricerche sulla località di cui all’epoca nessuno sapeva più nulla. Si mette a rovistare negli archivi della Shanghai Library, dove trova tutte le pubblicazioni originali dei giornali dell’epoca, il North China Daily News e il North China Herald, cercando di ricostruire la storia della località, dei suoi abitanti e di recuperare l’atmosfera dell’epoca. Ha la fortuna di avere accesso anche a una serie di documenti nascosti dall’amministrazione della montagna che gli permettono di conoscere e studiare le planimetrie delle case di un tempo, le foto, i proclami dell’associazione che gestiva la montagna, perfino di entrare in contatto con qualche vecchio residente ancora in vita. Quando il governo cinese decide di requisire la sua azienda mediatica (That’s, appunto), i suoi guadagni e anche il suo trademark, Mark si trasferisce con la moglie e i figli a Moganshan, potendo ancora contare sulle sue ville. Forte del lavoro storico che aveva fatto, decide di ristrutturare altre ville e trasformarle in guesthouse, facendosi l’unico tuttora inarrivabile promotore del risveglio della cittadina. Con l’avvio della sua nuova attività, altre aziende si uniscono allo sviluppo della cittadine rendendola ciò che è ora.

È stato triste scoprire che la persona che ha reso possibile la rinascita della località se ne sia andata proprio quando sono arrivata io. Ma in fondo lo capisco, soprattutto se vedesse cosa è diventata ora Moganshan. Sebbene sia decisamente un’ottima meta per una gita fuori porta, bisogna tenere ben presente che ciò che aspetta l’incauto visitatore non è più una cittadina sonnolenta, bensì un trambusto infinito di auto, taxi, bus pubblici e privati, clacson e orde di cinesi chiassosi e decisamente poco inclini al rispetto dell’ambiente. Dopo la trovata di Kitto nel riaccendere l’interesse turistico verso la località, egli è stato seguito da altri stranieri e cinesi che hanno deciso di trasformare Moganshan nella Cortina d’Ampezzo dello Zhejiang. Trovare una stanza a meno di 1000 rmb a notte (141 euro circa) è ormai impresa impossibile se non si prenota con mesi di anticipo. Le guesthouse cinesi trascurate e puzzolenti si alternano agli hotel extra lusso dotati di piscina, a quelli eco-friendly e a quelli che organizzano trekking, biciclettate o rafting in montagna. Per arrivare alla cittadina di Moganshan vera e propria bisogna guidare in fila lungo il fianco della montagna fino al casello per comprare il biglietto posto quasi sulla cima della montagna. Non importa l’ora in cui si arriva, si trova sempre un gran groviglio di macchine incastrate l’una contro l’altra perché i cinesi, pensando di essere più furbi degli altri, decidono di superare la macchina precedente impedendo il passaggio a coloro che arrivano nella direzione opposta. Giuro che è così, non sto esagerando e nemmeno voglio essere polemica: si tratta di un dato di fatto da prendere in considerazione prima dell’eventuale gita. Armatevi insomma di una buona dose di sana pazienza. Le ville di Kitto sono aumentate e sono ancora funzionanti: forse uno dei pochi ripari dal rumore della strada e dalla miriade di turisti tuttora presenti in cima alla montagna. Altrimenti, optate per una sistemazione ai piedi della stessa, preferendo la cima della montagna solamente per una gita di trekking. 

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